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Taormina: "Il dossier esiste ma lo terrò segreto"

Carlo Taormina

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L'avvocato Carlo Taormina torna all'attacco e ribadisce l'esistenza di un memoriale dettagliato che fotografa i meccanismi del malaffare sanitario abruzzese. Perchè non ha ammesso fin dall'inizio l'esistenza di un corposo dossier? «Mi è stato comunicato che l'ex presidente della Finanziaria Regionale, Giancarlo Masciarelli, aveva negato decisamente l'esistenza del dossier, parlando solo di poche pagine ad uso interno per istruire l'istanza al Riesame dopo l'arresto nel novembre 2006. Non potevo accettare questa smentita e sono intervenuto». Ha chiesto lei di essere ascoltato dall'Autorità giudiziaria? «No. Mi hanno convocato loro come persona informata dei fatti. Ho ribadito di avere il dossier ma il segreto d'ufficio mi impedisce di rivelarne il contenuto». E non lo farà. «No. Ero l'avvocato difensore di Masciarelli prima che l'ingegnere decidesse, con mia grande sorpresa, di rivolgersi allo stesso legale che assiste gli altri imputati Del Turco, Aracu e Quarta. Una quaterna innaturale». Per quale motivo? «Per le cose che lui (Masciarelli ndr) sa e io so. Speravo parlasse con i giudici che stanno indagando sulla sanitopoli abruzzese, invece... ». Torniamo al presunto dossier. Perchè Masciarelli lo avrebbe consegnato a lei per poi negarne l'esistenza? «Ho avuto un pensiero buono: rappresenta un'assicurazione sulla vita. E forse voleva che fossi io a parlare». Qualcuno invece la accusa di agire per vendetta dovuta a vecchie ruggini politiche. «Voglio mettere subito in chiaro una cosa. Masciarelli è per me una persona perbene e ha guadagnato solo quello che gli spettava come esperto di finanza strutturale. Non c'entra nulla con le tangenti. Speravo in un suo messaggio che non è arrivato». Quante pagine ci sono nel dossier e cosa contiene? «C'è tutto. Sono 40-50 pagine divise in tre parti. La prima riguarda la situazione corruttiva dietro la Fira per i finanziamenti pubblici a fondo perduto. La seconda spiega il funzionamento delle cartolarizzazioni di Cartesio, gestite dall'ex governatore dell'Abruzzo Pace, e D'Annunzio dove la responsabilità è di Del Turco». Quale la procedura? «Bisognava essere ammessi alla cartolarizzazione. I crediti dovevano essere certi, liquidi ed esigibili ma in realtà bastava pagare una percentuale più o meno alta e il gioco era fatto. E poi c'erano i rapporti con le banche». Cosa intende? «La corruzione è solo una piccola parte di sanitopoli. Ecco perchè siamo solo a un decimo della verità. I soldi arrivavano dalle operazioni bancarie. E se si sceglieva una banca piuttosto che un'altra si potevano ottenere vantaggi». C'era un livello politico superiore? «Certo. Ed è contenuto nella terza parte del dossier. Ci sono tutti i nomi e cognomi che servono. Tutte le protezioni che alcuni politici godevano anche presso gli uffici giudiziari di Pescara. Ma, ripeto, per me la vicenda è chiusa. Il segreto è sacro». Un libro che consiglierebbe a Del Turco? «Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria». È un libro del 1764 in cui lo scrittore si batte contro la pena capitale. La sua tesi fa ancora riflettere: lo Stato, per punire un delitto, ne compierebbe uno a sua volta.

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