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Bisognerà aspettare metà settembre con le primarie di ...

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Seconda donna alla guida del governo israeliano, segnerebbe un cambio di prospettiva e non solo di generazione. Tzipi Livni ha le caratteristiche del leader; lucida, ambiziosa, calcolatrice, è dotata di fredda determinazione: «Voglio essere primo ministro e lavorerò per questo: dobbiamo cambiare le cose, perché la gente non ha più fiducia nei politici e bisogna ripristinare tale fiducia» ha detto prima dell'annuncio di Olmert. E forse sarà proprio lei, Tziporah, col suo nome biblico, la figlia del polacco Eitan Livni che fu uno dei capi dell'Irgun, l'Organizzazione miliare nazionale che sotto il Mandato britannico combatté con metodi di guerriglia terroristica per l'indipendenza, l'eroe del partito di Begin che per trent'anni di egemonia laburista visse ai margini della politica israeliana, a rinunciare al sogno biblico del Grande Israele, che includeva la Giudea e la Samaria. È convinta infatti che Israele sia «delegittimato non solo nella sua sopravvivenza, ma nella sua stessa esistenza come patria degli Ebrei». Per garantire la sua sopravvivenza e tenere in vita il sogno di uno stato ebraico, pensa sia necessario un compromesso: cedere territori ai palestinesi e permettere la creazione di uno stato palestinese, che rinunci al terrore e riconosca lo stato ebraico. Per lei, dunque, non ci sono alternative al negoziato con l'autorità palestinese, anche se ora incombe una minaccia ben più grave. «Il mondo si divide tra estremisti e moderati» ha spiegato all'ultimo congresso ebraico di Gersulamme. «Mentre in passato la percezione comune era che il conflitto israelo-palestinese fosse la causa dell'estremismo in Medio Oriente, oggi si comincia finalmente a capire che quand'anche riuscissimo a risolvere il conflitto politico, il conflitto religioso sarebbe irrisolvibile». Lucida nell'analisi fino alla spietatezza, è pronta a cogliere nuove opportunità : «gli arabi moderati capiscono che i loro nemici veri sono l'Iran e gli integristi radicali». Eppure, per lei non sarà facile conquistare il partito. Dovrà vedersela con le ambizioni dell'ex ministro della difesa Shaul Mofaz, già capo di stato maggiore oggi ministro dei trasporti, che l'accusa di inesperienza e viene a sua volta accusato di brogli sulle tessere. Ma il concorrente più infido è il capo del Likud, Benyamin Netanyahu, che guida l'opposizione di destra e ha già iniziato la campagna per le elezioni anticipate. Un sondaggio pubblicato da Haaretz, dà la Livni in testa su Netanyahu, mentre Mofaz, che pure viene considerato più a destra di lei, ne uscirebbe sconfitto. È per questo che sono in molti a scommettere che Mofaz potrebbe ricevere un aiutino persino dal laburista Ehud Barak oltreché da Netanyahu. Resta il fatto che la popolarità di Tzipi Livni è molto alta, non solo perché è una donna, bella, determinata, piena di passione, ma perché in un paese disorientato dagli scandali appare come una risorsa, essendo considerata un esempio di integrità, una figura incorruttibile, che non cerca di piacere, ma persegue una sua idea per quanto oscura possa apparire, vista la riluttanza a parlare di sé. Come ha fatto, per esempio, si è chiesto Anshel Pfeffer sul Jerusalem Post, a passare dalle manifestazioni nel 1973 contro i piani di pace di Henry Kissinger (ritiro dal Sinai e dal Golan) alla politica dei due stati? Come ha fatto a lasciare Netanyahu, che fu il suo primo sponsor e la mise a capo del del programma di privatizzazion, per Sharon? Come ha fatto a sopravvivere, con cinque incarichi diversi, a due governi che hanno superato ogni record di corruzione? E quale patto ha stretto con Olmert la notte in cui Sharon è entrato in coma? E quali responsabilità ha avuto nella guerra col Libano? «Come pretendere di avere una risposta a queste domande se non sappiamo nemmeno chi è il marito, che lavoro fa, quanti figli hanno» ha scritto Pfeffer. Certo, un po' esagera, ma Tzipi Livni protegge la sua privacy. Il marito, che ha sposato nel 1984, quando rientrò in Israele per finire gli studi, si chiama Naftali Shpitzer e ha un'agenzia di pubblicità; oltre ad essere il padre dei suoi due figli, Omri e Yuval, è il suo principale consigliere politico. Riservata, schiva nei modi, vegetariana per anticoformismo, insofferente alle formalità, tanto da preferire i jeans ai tailleurs e le scarpe da tennis ai tacchi, a 20 anni è entrata nel Mossad, anche se non è chiaro se avesse compiti operativi nella caccia ai terroristi arabi o di semplice supporto logistico. Laureata in legge, ha fatto per dieci anni l'avvocato, ed è entrata tardi in politica a 41 anni, eletta alla Knesset nel 1999, nelle liste del Likud. Due anni dopo, grazie a Sharon entra nel governo come ministro della Cooperazione regionale, poi dell'Agricoltura, quindi della Casa, della Giustizia e dell'Immigrazione. In pochi anni diventa uno dei principali alleati di Sharon, e con lui nel 2005 abbandona il Likud per fondare Kadima, il nuovo partito centrista, di cui ha scritto il programma e che avrebbe guidato il ritiro da Gaza e la promessa di abbandare anche la Cisgiordania. Tre anni dopo è lei che forse sarà destinata a realizzarne l'eredità. «Continuo a credere nel diritto di Israele alla sua terra» ha detto a Roger Coehn del New York Times, «ma non possiamo decidere chi avesse torto o ragione nel 1948 o cosa sia più giusto. Dobbiamo fare un compromesso; non si tratta più di decidere della storia, ma del nostro futuro».

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