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Per l'ennesima volta, si va a cominciare. Il presidente ...

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La prima è che se il Senato dovrà essere la Camera delle regioni, o per meglio dire federale, è chiaro che dovranno essere i suoi componenti a esprimersi per primi. Dopo di che tutto sarà più facile. Ma ecco la seconda ragione: di sicuro il Senato non potrà prescindere dall'egregio lavoro svolto nella scorsa legislatura dall'altro ramo del Parlamento. Ma questo lavoro presumibilmente non sarà altro che una base di partenza e pertanto novità anche importanti non si possono escludere in linea di principio. Presto la patata bollente pioverà sulla testa del presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, che non ha mancato di esprimere le proprie idee al riguardo. Infatti di recente Carlo Vizzini, premesso che «La Costituzione che dobbiamo riformare è stata per lunghi anni patrimonio delle forze politiche senza distinzione di maggioranza e di opposizione», ha aggiunto che «La Costituzione riformata dovrà avere le stesse caratteristiche e il dibattito non potrà confondersi con quello su altre materie sulle quali nessuno può meravigliarsi se vi siano valutazioni differenti tra chi governa e chi è all'opposizione». Parole di buon senso, si capisce. Parlamentare di lungo corso qual è, Vizzini è abituato a misurare le parole. È sempre bene essere, se non uomini della provvidenza, almeno della previdenza. Così le sue dichiarazioni si prestano a una lettura più sofisticata. È probabile che egli abbia pensato alla famosa opera di Costantino Mortati pubblicata nel 1940 e intitolata «La Costituzione in senso materiale». Mortati, che poi sarà autorevole membro dell'Assemblea costituente, sostenne che ogni Costituzione scritta è sorretta dalla forza politica dominante, allora rappresentata dal Pnf. Quel singolare - come disse in un celebre discorso al Senato Giuliano Amato, allora presidente del Consiglio - nel dopoguerra divenne plurale. E così le forze politiche dominanti furono la Dc, il Pci, il Psi e tutti gli altri partiti minori. Si dà il caso che le menzionate forze politiche abbiano tirato tutte le cuoia da un bel pezzo. Perciò la nostra Costituzione non ha più un punto d'appoggio. È sospesa a mezz'aria come un caciocavallo. E ora spetta ai nuovi partiti che si sono affermati sulla scena farsi parte diligente. A questo punto l'opinione pubblica dovrà stare con gli occhi bene aperti. Già, perché c'è chi trama nell'ombra. Così Massimo D'Alema, che si crede il più bel fico del bigoncio, non fa mistero della sua avversità alla riduzione della democrazia a due partiti. E sapete perché? Perché - bontà sua, si degna di spiegare - «questo aprirebbe la strada al presidenzialismo e cioè alla sicura vittoria dell'ideologia di Berlusconi e quindi di Berlusconi stesso o di chi lo sostituirà: è lui che incarna quel sistema». Non a caso fa gli occhi di triglia a Pier Ferdinando Casini. Che, a differenza della sventurata monaca di Monza, non dice né sì né no. Preferisce fare il pesce in barile. Ma poi prende di petto il fantomatico governo ombra (se ci sei batti un colpo). Perché la sua costituzione «sembra concepita apposta per limitare la dialettica ai soli Pdl e Pd». Il sogno di lorsignori è quello di abbattere la logica sostanzialmente bipartitica e tornare al chiassoso multipartitismo del tempo che fu grazie a una riforma costituzionale puramente cosmetica e una riforma elettorale proporzionale. Questi redivivi mandarini cinesi, gelosi delle loro prerogative castali, non si rendono conto che l'Italia di oggi o si divide in due o si rompe in mille pezzi. Ma che importa. A loro interessa la Repubblica dei partiti, mica quella dei cittadini.

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