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L'Italia non piace più agli industriali stranieri

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Trasparenza e stabilità del clima politico, legislativo e amministrativo, tassazione delle imprese e flessibilità del lavoro sono considerati i principali fattori negativi che contribuiscono a ridurre l'attrattività del Paese come destinazione per investimenti esteri. È quanto emerge dallo studio di Ernst Young «An open world» sull'indice di attrazione europeo. A questi fattori si aggiungono il costo del lavoro e l'accesso al credito che, rispetto all'edizione precedente, sono stati indicati dagli intervistati tra le debolezze del territorio italiano da una percentuale maggiore di intervistati. «Le potenzialità dell'Italia — ha commentato Donato Iacovone, partner di Ernst Young — continuano ad essere limitate dal peso delle criticità strutturali che da tempo ne caratterizzano l'immagine e alle quali il nostro paese non sembra aver trovato ancora una soluzione». Per il 55% degli intervistati la situazione dell'Italia non è né migliorata né peggiorata nel corso dell'ultimo anno e questa condizione di stasi contribuisce a generare perplessità e sfiducia nel futuro. Il 60% del campione coinvolto ha dichiarato di non considerare l'Italia come uno dei paesi dove poter effettuare un investimento nell'immediato. «Neanche il tradizionale ruolo dell'Italia come centro di design — ha affermato Iacovone — contribuisce alla leadership mondiale del nostro paese che si trova subordinato ad altre aree, quali Germania, Stati Uniti e Canada, Cina, India, Francia, Regno Unito e Giappone». «In questa situazione non rosea per l'Italia — ha aggiunto — si intravedono alcuni spunti di ottimismo legati al discreto apprezzamento del suo livello tecnologico e del suo ruolo internazionale, a cui seguono in misura minore considerazioni positive legate al sistema sociale, sanitario ed educativo. Per contribuire in maniera determinante alla crescita futura dell'Italia è necessario intraprendere una serie di politiche, tra cui la riduzione della fiscalità, il miglioramento del modello di società, del sistema formativo e delle capacità innovative». Dall'indagine emerge poi che il numero di investimenti esteri diretti a livello europeo è aumentato del 5% raggiungendo la quota di 3.712 progetti nel 2007 (dai 3.531 del 2006), ma la creazione di posti di lavoro derivanti da investimenti esteri è per contro diminuita del 18% nel 2007, con un totale di 176.551 nuove opportunità lavorative contro le 214.987 del 2006. I primi cinque Paesi per numero di progetti nel 2007 sono rimasti invariati, ma le nazioni dell'Europa Centrale e Orientale hanno comunque registrato una rapida crescita. Regno Unito, Francia e Germania hanno mantenuto rispettivamente la prima (713 progetti), la seconda (541) e la terza posizione (305). Il Regno Unito si è confermato al primo posto anche per quantità di nuovi posti di lavoro. La Repubblica Ceca ha confermato la sua posizione nonostante la flessione del 27% nel numero di nuovi progetti; è passata invece dal quarto al terzo posto sul fronte della creazione di nuove opportunità lavorative, anche se questo valore ha subito un calo del 14% rispetto allo scorso anno. Un balzo al quarto posto per la Russia per posti di lavoro creati (con +85%) e una risalita dalla tredicesima all'ottava posizione per numero di progetti (+60%). La Polonia e la Romania hanno conservato le stesse posizioni per numero di progetti. In quanto ai nuovi posti di lavoro, la Polonia è scesa al secondo posto con un calo del 41% di nuove opportunità rispetto allo scorso anno. La Slovenia ha registrato la crescita maggiore in termini di creazione di posti di lavoro (+458%) conquistando il 15° posto della classifica. Le modalità di investimento stanno assumendo un'importanza più rilevante rispetto alla quantità per tutti gli investitori che prendono in considerazione le diverse opzioni sostenibili. Il campione ha affermato di prediligere un'attenzione nei confronti della stabilità politica e legale (54%) e delle infrastrutture di telecomunicazione (51%) piuttosto che dei costi del lavoro (47%).

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