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Fare a meno dei democristiani è l'eutanasia del progetto politico

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Si poteva fare solo così e, dunque, si doveva fare così: la gestione di un partito è un fatto democratico, la fondazione no. Non esistono partiti che sorgono dal popolo, al massimo esistono capi in grado di radunare un popolo. Silvio Berlusconi è da quattordici anni il capo indiscusso del popolo italiano che non si riconosce nella sinistra. A Piazza San Babila Berlusconi radunò il suo popolo pronto a chiudere la transizione e a dare agli italiani la nuova forza capace di unire il Paese. Il retroscena era la sua delusione per gli alleati che segavano il ramo berlusconiano su cui stavano seduti dal '94. Poi le cose sono cambiate: né Fini, né Casini intendevano mancare di rispetto a Berlusconi. Semplicemente il primo voleva capirne e condividerne il progetto, il secondo congedarsene. Le due cose sono avvenute coi conforti e i dolori di tutte le scelte importanti della politica. Il listone del PdL ha vinto le elezioni sia pure con una variante territoriale molto importante: a Nord il PdL divide a metà il successo con la Lega, appena sorpassandola nelle città e seguendola di qualche punto nelle province; nell'Italia centrale e nel Sud il PdL non ha alleati con cui dividere un successo plebiscitario e lo porta a numeri superiori alla gloriosa Democrazia Cristiana. Questa differenza è il primo problema del PdL: vuole essere un partito destro-meridionale o intende parlare anche al Nord? Con Berlusconi candidato premier il PdL si gioca la partita con la Lega, ora la vince ora la perde. Nelle amministrative in cui non c'è Berlusconi, il PdL perde senz'altro la sua competizione con l'alleato leghista. La ragione è semplice: nell'immaginario collettivo la Lega è il Nord, il PdL è Berlusconi con Fini al seguito. Ed è il secondo problema del PdL: chi siamo? Si è detto che siamo i popolari europei, cioè i democristiani alleati dei conservatori. Ho detto democristiani e ripeto democristiani, ho detto conservatori e ripeto conservatori: sono queste le categorie politiche europee. In Europa non c'è «Forza Germania», non c'è «Cipresso o Ulivo Bavarese», non c'è nemmeno la Lega, anche la Csu bavarese sente il bisogno di iscriversi al Ppe e all'Internazionale democristiana. È il motivo per il quale ho difeso una presenza della Dc al governo, ma onestamente debbo dire che sin qui essa si lega solo al rapporto speciale da me intrattenuto con il presidente del Consiglio, e non già ad una consapevolezza che Forza Italia ed An senza la Democrazia Cristiana non fanno il Ppe e stavolta non riescono nemmeno ad entrarci. Capisco la voglia matta dell'intendenza di Forza Italia ed Alleanza nazionale di costruire qualcosa senza i democristiani. Trascurano che i democristiani comunque ci sono, sanno richiamarsi nei momenti importanti e condizionano la vita politica italiana oggi non meno di quando la Dc era al governo. Averli compagni è un grattacapo, farne a meno per il PdL è l'eutanasia di un progetto politico. Chi come Alemanno asseconda il vento dell'Europa su un ticket conservatori\democristiani governa Roma e forse sta coi piedi nel futuro più di molti di noi che sediamo al governo. *Ministro per l'Attuazione del programma

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