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Muoiono in mare tredici immigrati

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I ventisette superstiti della tragedia (di cui venti uomini e sette donne), invece, sono stati salvati dagli uomini di un peschereccio siciliano che è coraggiosamente intervenuto. Nei giorni in cui è più accesa la discussione sul reato di immigrazione clandestina, ecco l'ennesimo dramma. Stavolta consumato sotto gli occhi di alcuni testimoni siciliani che hanno subito dato l'allarme e soccorso gli immigrati che tentavano di avvicinarsi all'Italia. «Li abbiamo avvistati intorno alle 18, a 55 miglia a nord delle coste libiche. Erano una trentina su una barchetta in vetroresina che arrancava a causa del mare grosso e del vento forte. Quando ci hanno visto si sono diretti subito verso di noi, ma quando erano ormai a pochi metri un'onda assassina li ha travolti e sono finiti tutti in acqua». A parlare è Gaspare Marrone, comandante del motopesca Ariete della flotta di Mazara del Vallo, che è riuscito a salvare i 27 naufraghi. Gli altri non ce l'hanno fatta. «Urlavano e chiedevano disperatamente aiuto - ha raccontato il capitano - ma le nostre manovre erano rese difficoltose dalle grande gabbia per l'allevamento dei tonni che stavano trainando. Così ho deciso di mollare la gabbia e di soccorrerli: 27 siamo riusciti a issarli a bordo, gli altri li abbiamo visti annegare davanti ai nostri occhi». I superstiti avevano parlato inizialmente di tre dispersi, ma con il passare delle ore il bilancio ha assunto i contorni di una vera e propria strage: l'equipaggio della Sirio ha infatti recuperato 13 cadaveri, tre dei quali erano però in avanzato stato di decomposizione. Questa circostanza lascia presumere che si tratti della vittime di un altro naufragio. Le ricerche dei dispersi si sono svolte, infatti, ad ampio raggio. «I superstiti sono sopratutto somali - ha spiegato il comandante - anche se tra di loro c'è qualche senegalese. Dopo averli salvati abbiamo riagganciato la gabbia e abbiamo fatto rotta verso la nave della Marina, che ci ha raggiunto stamani (ieri mattina, ndr) all'alba, per compiere il trasbordo. Solo dopo abbiamo saputo che i corpi di quei poveracci erano stati ripescati». Concluse le operazioni la nave Sirio, con il suo carico di sopravvissuti e di cadaveri, ha fatto rotta verso Porto Empedocle, mentre il comandante Marrone e i sei uomini del suo equipaggio hanno ripreso la loro attività. I marinai dell'Ariete, del resto, non sono nuovi a questi interventi di soccorso: il 28 novembre dell'anno scorso riuscirono a trarre in salvo altri 54 immigrati, tra cui sette donne e un neonato di pochi mesi, che avevano fatto naufragio a trenta miglia da Lampedusa. In quell'occasione un marinaio tunisino si gettò in mare per aiutare le persone che non sapevano nuotare: morì solo una persona. «La legge del mare - ha spiegato il capitano Marrone - ci impone di aiutare chi è in difficoltà, anche a rischio della nostra vita. Abbiamo fatto solo il nostro dovere, adesso torniamo al lavoro. Staremo in mare ancora venti giorni, poi, finalmente, torneremo a casa». E Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati politici, ha sottolineato l'importanza del gesto che quegli uomini hanno compiuto per salvare quei naufraghi in difficoltà. Un gesto coraggioso e d'esempio: «Se il bilancio di queste tragedia del mare non è ancora più pesante è solo grazie al coraggio di tanti marinai, dagli equipaggi dei pescherecci a quelli della Marina militare e della Guardia costiera».

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