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Verona, tutto il branco in cella

Verona

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Adesso il cerchio sull'uccisione di Nicola Tommasoli e il ferimento di due suoi amici a Verona è chiuso, e l'indagine riparte a bocce ferme. Perché la polizia, in tempo record, ha messo a disposizione della magistratura i cinque giovani tra i 19 e 20 anni che la notte del primo maggio hanno picchiato sino ad ucciderlo un ragazzo appena più grande di loro. Sono finiti in carcere Raffaele Dalle Donne, studente di San Giovanni Lupatoto, Federico Perini, studente di Boscochiesanuova, Nicolò Veneri, studente di Verona, Andrea Vesentini, promotore finanziario di Illasi, Gugliemo Corsi, metalmeccanico di Illasi. I cinque hanno ammesso la partecipazione al pestaggio. Ma sulla responsabilità di quei terribili calci sferrati a terra a Nicola, quand'era già svenuto, è iniziato lo scarico delle responsabilità. L'accusa di omicidio preterintenzionale è uguale per tutti ma probabilmente non sarà così tra qualche giorno. Da oggi, con l'interrogatorio di garanzia del gip, inizierà la seconda fase dell'indagine e le responsabilità individuali si andranno a delineare. Spetterà al pm Francesco Rombaldoni raccogliere ancora parole, stati d'animo, valutare i particolari che emergeranno dall'autopsia, in programma sempre per oggi. Intanto a Nicola sono stati espiantati il fegato, i reni e io pancreas. Cominciano intanto a filtrare quelle che potranno essere le strategie difensive. «Ho solo cercato di dividere Corsi da "codino", poi sono intervenuto perché ho visto un piccoletto che stava picchiando Raffaele. Il mio sbaglio è stato scappare per la paura quando ho visto uno per terra», si difende così Andrea Vesentini, come riferisce il suo legale Francesco Delaini, che l'ha incontrato in carcere. Lo descrive in «pessime condizioni psicofisiche», soffre, spiega, di crisi di ansia «e quello che è successo ha ovviamente aggravato la situazione. Non è crollato, perché ancora non si rende conto, ma temiamo che ceda da un momento all'altro». Secondo Vesentini, non era Tommasoli quello con il "codino" al quale Guglielmo Corsi ha chiesto una sigaretta: «Ehi tu, codino - avrebbe detto secondo il racconto di Vesentini -, dame na sigaretà. Il ragazzo ha reagito con un "tu non sai chi sono io" e così sono venuti alle mani». «Io - prosegue Vesentini - ho cercato di separarli, così come ho fatto quando ho visto un piccoletto che stava picchiando Raffa. Poi mi sono girato e ho visto uno per terra svenuto. Ci siamo presi paura e siamo scappati». «Non c'è stata nessuna rissa. Siamo stati aggrediti alle spalle», ribattono invece i due amici di Nicola. Né c'è stato, dicono, «alcun movente politico». "Codino" ed il suo compagno raccontano la loro versione. «Stavamo camminando, c'è stata chiesta una sigaretta, sempre camminando abbiamo detto di no. Poi c'è stata una frase un po' minacciosa, mi sono girato ed è arrivato il primo pugno». Non si placano, infine, le polemiche sull'episodio. Prodi, che ha scritto ai genitori di Nicola, parla di «una violenza inumana e insensata che deve essere eliminata per sempre». Le parole di Fini, che ha giudicato più grave dell'episodio di Verona il rogo delle bandiere israeliane alla fiera del libro di Torino, hanno scatenato un putiferio. I suoi lo difendono, il Pd lo attacca. «Sbagliate e inopportune» vengono giudicate dal democratico Nicola Latorre. Si distingue dal centrosinistra Antonio Di Pietro: oltre a chiedere il pugno di ferro, il leader dell'Idv solidarizza con Fini, sostenendo che il presidente della Camera «non intendeva fare graduatorie».

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