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Fabrizio dell'Orefice [email protected] Da anni ...

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Germano Dottori, docente di sicurezza internazionale presso la Link-Campus dell'Università di Malta a Roma e cultore di studi strategici presso la Luiss-Guido Carli di Roma, descrive l'escalation di attenzione della stampa estera negli ultimi mesi sui guai italiani. Dall'ormai celebre articolo di Ian Fisher sul New York Times sull'«infelicità Italia» alla copertina di Newsweek sulla monnezza partenopea. E sentenzia: «La pagheremo, ci farà soffrire». Professore, come ci vede la stampa estera? «Negli ultimi sei-sette mesi si è registrato un fenomeno nuovo. Una crescente attenzione della stampa estera sul declino italiano. Insomma, non è più un dibattito italo-italiano, come si usa dire in gergo, ma è diventato un dibattito internazionale». Esiste un caso Italia? «Esiste un dibattito Italia. Ovviamente è tutto in negativo. E questa è una novità. Che va di pari passo con un'altra». Quale? «Che c'è una straordinaria consonanza tra quanto scrivono i giornali esteri dell'Italia e quanto gli italiani pensano di loro stessi». In che senso, scusi? «Non è la prima volta che ci sono reportage sull'Italia. Li leggevamo e dicevamo: forse è vero, ma almeno viviamo bene. Ma prendiamo proprio il reportage di Ian Fisher. Per la prima volta non solo non si parla di Bel Paese. Ma si parla degli italiani che stanno male. E per giunta gli italiani si ritrovano anche in questi commenti». Ma quanto contano questi articoli della stampa estera? Noi diamo sempre grande spazio, negli altri Paese nessuno se ne frega alcunchè di un dossier della stampa italiana su di loro. «Sono problemi diversi. In noi prevale il desiderio della "bella figura". È un concetto che non esiste in inglese, non è traducibile. È tutto italiano. Ed è la voglia di fare le cose per bene, di essere accettati, di essere legittimati, di migliorati. In secundis c'è una questione di peso geopolitico. E, infine, un articolo sul Financial Times o sul New York Times è in inglese e dunque letto da tutto il mondo. Un reportage in italiano lo capiamo solo noi». Secondo lei perché c'è questa attenzione crescente sull'Italia? «Anche qui i motivi sono vari. Anzitutto va detto che l'Italia negli ultimi 10, 15 anni, indipendentemente dai governi, ha assunto ruoli sempre crescenti. Penso alla partecipazione alle missioni militari internazionali». E poi? «Poi ci sono fattori regionali. Per esempio mentre la stampa americana è obiettiva e descrive i guai italiani con disappunto, quella inglese quasi si compiace ricordando come l'Italia superò la Gran Bretagna e, dunque, ricorda l'attuale sorpasso spagnolo ai nostri danni. E quella spagnola ha riportato parola per parola quanto accaduto in Senato in occasione della caduta del governo Prodi». E tutto ciò che effetti può avere sulla nostra immagine? «Devastanti. Il caso della mozzarella per esempio avrà conseguenze gravi, ci farà soffrire». Ma la stampa estera non ha infierito... «Aspetti, aspetti qualche giorno». E che cosa succederà? «I danni li pagheremo nei prossimi due anni. E ci sarà un effetto enorme perché all'estero non si fa molta differenza tra mozzarella campana, formaggi emiliani o altro. È sempre un prodotto italiano». Sarà una brutta botta per il made in Italy? «Enorme. Per ora incalcolabile, ma certamente di grandi dimensioni. In generale l'immagine è di un Paese in affanno. E penso che abbia effetti anche sulla trattativa Alitalia perché nel mondo finanziario è chiaro che si tratta con chi non ce la fa». E come se ne esce? «Riprendendo una politica delle ambizioni. Realizzando grandi opere, completando la Tav, realizzando il Ponte sullo Stretto...».

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