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Brambilla: "Serve un protezionismo in stile Usa"

Michela Brambilla

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È serena Michela Vittoria Brambilla. La donna che ha ispirito la creazione del Popolo della libertà ora è pronta al salto nella politica. Quella che decide. Presidente, posso già chiamarla onorevole? «Beh, se preferisce...». Da imprenditrice a regina dei Circoli e ora quasi deputata. «Ormai è più di un anno che vivo questo momento. I Circoli del resto hanno fatto politica e lavorato molto per l'Italia». E ora? «Ora si continua. Si è realizzato un sogno col Pdl ed è arrivato il momento di assumersi delle responsabilità. Sarà il modo per portare le priorità dei cittadini, quelle che abbiamo raccolto in questo lungo anno, dentro il Palazzo». Quindi? «Sicurezza, una pressione fiscale più bassa. Poi i servizi, la sanità». C'è da lavorare. Magari dentro un ministero. «È il centesimo che mi fa questa domanda». Si sarà fatta un'idea di quale ministero vorrebbe far parte, no? «Io sono contenta di quello che sto facendo. Non c'è un desiderio preciso, deciderà Berlusconi cosa fare del mio futuro ruolo». Lei dà attenzioni particolari all'imprenditoria italiana. Oggi è a Roma per presentare «Il manifesto degli imprenditori italiani per la tutela e il rilancio del marchio Italia». Come possiamo incrementare l'esportazione? «In un momento in cui crisi economica e super valutazione dell'euro stanno creando oggettive e sempre crescenti difficoltà alla penetrazione dei nostri prodotti sui mercati è indispensabile: detassare il lavoro straordinario; abbattere le imposte sugli utili che l'azienda reinveste; garantire migliori linee di credito a quelle piccole e medie imprese che sono il vanto del made in Italy e che da sole realizzano oggi il 25% dell'intera produzione manifatturiera europea». Ma la crisi americana con quali reali conseguenze investe la nostra economia? «Sta incidendo pesantemente su tutti i comparti dell'economia e del credito. Il governo Prodi ha la grave responsabilità di non aver avviato per tempo misure che servissero almeno a bilanciare la caduta del nostro export. E c'è anche un'oggettiva responsabilità dell'Europa dove chi detta legge è solo la politica monetaria della Bce. Per quanto riguarda l'economia reale a Bruxelles non si fa proprio nulla». Su quali mercati puntare? Cina, India e poi? «I mercati in cui si sta tentando una maggiore penetrazione sono quelli del Sud Est asiatico e dell'Europa dell'Est». E il «nuovo protezionismo» può aiutare? «No all'autarchia. È vero però che ci vogliono anche regole. E non è certo un caso che un paese di tradizione profondamente liberista come gli Usa abbia cominciato a mettere paletti a una politica di dumping, che rischia di distruggere l'intrinseco valore di ogni mercato. L'Europa, invece, è in forte ritardo. E la ragione è che deve attuare una politica che venga condivisa da 27 paesi che hanno esigenze ed interessi assai diversi tra loro». Le nostre imprese sono ancora troppo piccole. Una politica di aggregazione è possibile? «La rete di piccole e medie imprese che opera, nel settore manifatturiero è una forza che tutti ci invidiano. Ma è chiaro che va rafforzata ideando regimi fiscali che favoriscano fusioni e accorpamenti». Made in Italy: le viene in mente un marchio? «Non c'è settore in cui il prodotto made in Italy non dia oggi dei punti a tutti. Penso a quel che avviene, ad esempio, per l'Alta Moda. Andrebbe maggiormente tutelato ed è appunto quello che faremo non appena torneremo al governo».

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