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Ora l'Italia teme l'equazione più rincari meno crescita

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Storicamente erano sempre stati alternativi: alla contrazione della domanda corrispondeva una deflazione dei prezzi. Le cause del fenomeno dipendono da comportamenti monopolistici sia nel mercato del lavoro (per la rigidità dei salari) che in quello dei prodotti (per la presenza di cartelli, soprattutto nei mercati delle materie prime). Gli effetti purtroppo li stanno vivendo in questa fase le famiglie italiane. Pochi soldi in tasca, crescita economica zero come ha certificato l'Unione europea, mettendo l'Italia all'ultimo posto nel Vecchio Continente, e una corsa inarrestabile dei prezzi. Le leve per tamponare la situazione sono essenzialmente due: monetaria e fiscale. La prima però non è più azionata da Bankitalia ma dalla Bce. Bruxelles ha il potere di intervenire sui tassi di interesse. In una fase di rallentamento economico, è indispensabile abbassare il costo del denaro. Gli Stati Uniti lo stanno facendo, l'Europa no. Un denaro che costa poco consentirebbe di pagare meno, ad esempio, le rate sui mutui. Ma l'Europa (sbagliando) non taglia i tassi perchè teme l'inflazione e con il petrolio alle stelle ha comunque le sue motivazioni. L'altra leva, quella fiscale, è però in mano al governo. E qui si spiega il fallimento della politica di Prodi. Troppe tasse hanno depresso i consumi: la cura è esattamente quella opposta. Ecco perchè l'abbattimento delle imposte è in questa fase la ricetta che il nuovo governo dovrà adottare. Se va dato atto a Prodi di aver migliorato in parte la finanza pubblica seguendo le direttive europee, bisogna capire che c'è un'emergenza nazionale. Le famiglie sono in grossa difficoltà e la priorità per un governo è sostenerle. La pressione fiscale deve essere allegerita e consentire agli italiani di avere più soldi in tasca per fronteggiare le spese quotidiane. Una strategia che seguirono gli Stati Uniti negli anni Ottanta. La crisi e una tassazione eccessiva avevano tenuto lontano il denaro dagli investitori privati e quindi soffocato la crescita economica. La soluzione adottata fu proprio quella di tagliare le tasse ovunque, in particolare nella fascia a più alto reddito, allo scopo di incoraggiare gli investimenti privati. L'opinione pubblica, in particolare la classe media della Sun Belt (gli Stati del Sud che trainavano la crescita), concordò con le proposte di Reagan, e lo votò presidente nel 1980. I critici accusarono Reagan che fattori di economia internazionale degli anni 1970, come il crollo del sistema Bretton Woods di ordine monetario internazionale e la crisi emergetica del 1973, erano oltre qualsiasi controllo da parte del presidente. Ma Reagan andò avanti, taglio le tasse e gli effetti furono un boom economico. L'Italia dovrebbe prendere esempio e alleggerire la pressione fiscale. Certo, la finanza pubblica ne soffrirebbe. Ma come hanno indicato Fondo Monetario Internazionale, Unione europea e Bankitalia la via c'è. Una soluzione semplice, sebbene l'applicazione sia complessa. Bisogna tagliare la spesa pubblica. La speranza è che il nuovo governo finalmente cominci davvero a metterci mano sul serio.

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