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Sinistra unita e già divisa Bertinotti lasciato solo

Bertinotti

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Ma non tutti sorridono. E il peggio è che i leader dei quattro partiti si evitano. Anzi, non si parlano. Certo, il presidente della Camera ci prova e ci riprova a tenere unito il gruppo: «Le nostre storie sono diverse - dice entrando al Caffè Fandango per presentare la sua premiership - ma assieme danno vita a una nuova sinistra unita e plurale. Siamo tutti consci dell'impresa». Peccato che sembra più una coalizione di sopravvivenza (dato lo sbarramento del Porcellum), che di governo. «Non nascondiamo la preoccupazione che la sinistra rischia di scomparire», ammette lui stesso. Ma oltre alle parole (Salvi, Giordano, Bertinotti, Bianchi, Pecoraro Scanio e Diliberto fanno la loro parte di fronte alle telecamere), gli umori dei leader non coincidono. A piazza Di Pietra il numero uno dei Verdi non perde troppo tempo a parlare col segretario di Rifondazione. Il segretario di Rifondazione non dà molta importanza a Diliberto. Diliberto sbuffa come chi avrebbe voluto fare il leader della Cosa Rossa. Cesare Salvi conversa con i ragazzi di Sinistra democratica. E Bertinotti si gode il suo momento di gloria da candidato premier. Assente giustificato Fabio Mussi - per una operazione. A calcare la mano ci si mette anche la location, poco consona a presentare una campagna per la corsa a Palazzo Chigi, e troppo piccola per accogliere tutti gli ospiti. Tanto piccola da ospitare solo quaranta persone e scatenare un fuggi fuggi generale. A iniziare dai leader di partito. Il primo a darsela a gambe è il ministro Alessandro Bianchi: «Si sta troppo stretti, meglio uscire». Poi ecco Pecoraro Scanio, quello che tra i big alla Sinistra Arcobaleno ci crede più degli altri, ma l'esordio non sembra metterlo di buon umore: «Lì dentro non si può stare, non si entra - dice il ministro - Hanno voluto fare una cosa intima, ma forse è un po' troppo intima. Sa che le dico? Io la parte mia l'ho fatta, adesso me ne vado». Un altro verde, Marco Boato, non ci pensa neppure a entrare. E confessa: «Guardate che qua sono tutti incavolati. Sta cosa qua, del Caffè alternativo, l'ha voluta Bertinotti». Ed ecco che scappa anche Oliviero Diliberto con tutto lo staff del Pdci. Neppure lui sembra soddisfatto di questa prima uscita: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere», dice attraversando la piazza a passo svelto. Anche Andrea, la mente organizzativa dell'evento, è costretto ad ammettere: «In effetti abbiamo fatto degli errori di valutazione. C'è chi presenta i partiti dal tettino di una macchina, chi davanti un uliveto e noi da un bar. Ma se tornassi indietro non farei di certo questa scelta». L'unico a difendere la decisione del presidente di Montecitorio è il suo compagno di partito Franco Giordano. Ma ormai i big sono andati tutti via. Dentro il Caffè di piazza Di Pietra è rimasto solo Bertinotti. I suoi compagni di coalizione se ne sono andati. Eccolo che esce. Intorno a lui i fotografi continuano a scattare e scattare. Si mette in posa davanti al cartellone Sinistra Arcobaleno. Sorride e si guarda intorno Bertinotti. Cerca e ricerca, ma non ci sono. I Verdi, i Comunisti, la Sinistra di Mussi non c'è. La sua sinistra unita sembra già essere divisa.

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