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Berlusconi farà guerra alle tasse

Silvio Berlusconi

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Sì invece a un grande piano casa a favore dei giovani. Silvio Berlusconi torna a partecipare a una trasmissione televisiva, Porta a Porta. E come sette anni fa, Bruno Vespa gli fa ritrovare una scrivania, la scrivania. La stessa sulla quale firmò il contratto con gli italiani. Sarà per questo, per l'atmosfera, per lo studio, che il Cavaliere si fa scappare qualche punto chiave del suo programma di governo. Almeno per quanto riguarda la parte fiscale. Un Berlusconi pimpante, che si fa aspro e riottoso solo quando si nomina l'Udc. Tanto che a Casini lancia un avvertimento: fai come An, abbandona il tuo simbolo che non ha storia e vieni nel listone. Sul programma si parte da dove Berlusconi aveva lasciato. «L'abolizione dell'Ici - spiega — non comporta una riduzione delle entrate molto grande. Con Giulio Tremonti abbiamo fatto i conti ed è una misura che si può assolutamente sostenere. Dobbiamo risparmiare nelle spese dello Stato». L'impegno è di approvare l'abolizione dell'imposta sulla casa già nel primo consiglio dei ministri. Non solo, il leader del Pdl promette che presenterà prima del voto un programma con i provvedimenti già scritti e anche i tempi con i quali saranno presentati al Consiglio dei ministri. Vespa lo porta ad affrontare il tema dei salari e Berlusconi annuncia: «Pensiamo di ridurre l'imposizione fiscale sulle 13esime e le 14esime». Restituire è la parola d'ordine. Restituire ciò che Prodi ha tolto, tanto che il Cavaliere calcola in 40 miliardi le entrate dovute a nuove tasse operate dal governo uscente. E non è finita, perché Berlusconi pensa a interventi sull'Irpef: in futuro si riuscirà a portare la tassazione a un «massimo» del 30%. «Così si lascerebbero da parte tutte le voglie di elusione». Spiega che pensa di riportare in vigore la vecchia riforma Maroni sulle pensioni. L'altro capitolo riguarda le alleanze. Parla di Mastella che ha fatto cadere Prodi ma Romano sarebbe caduto lo stesso, assicura Berlusconi, sulla mozione contro Pecoraro Scanio che sarebbe stata votata il giorno dopo. Si parla di Casini e per lui il Cavaliere riserva una sorta di aut aut che non lascia molti margini. Primo, rinuncia al simbolo (anche se Berlusconi parla di marchi): «Anche noi siamo molto legati al nostro marchio e An lo è al suo. Entrambi abbiamo rinunciato, chiediamo la stessa generosità a Casini e ai suoi». E ancora: «Non vogliamo liste collegate perché il programma di governo sarebbe a rischio. Se Casini si dovesse presentare da solo non ci sarebbe garanzia di coesione e si tornerebbe alla scorsa legislatura, quando di fronte a svolte di modernità, i partiti, spesso il suo, si sono messi di traverso». Fa capire sostanzialmente che di Casini non si fida, ricorda che alla fine della scorsa legislatura Follini, allora segretario dell'Udc, disse che Berlusconi non era il loro candidato premier e che era necessario un segno di discontinuità: «Senza quelle richieste avremmo vinto», sottolinea Berlusconi. E rimarca in più occasioni: «Gli elettori ci vogliono vedere uniti, così come accadde anche nel 2006». Porte chiuse anche a Giuliano Ferrara che vuole fare una lista per la vita contro l'aborto e ha chiesto l'apparentamento: «Sto facendo uno sforzo per ridurre le diciotto liste in una, non possiamo fare eccezioni». E porta in faccia anche a Francesco Storace: «Escludo apparentamenti». Via tutti, avanti invece con Fini a tutto spiano. Tanto Berlusconi si sente «sicuro di vincere», non ha alcun dubbio. D'altro canto non ne aveva due anni fa quando si presentò contro qualunque sondaggio, contro qualunque pronostico. Figuriamoci stavolta che si sente il vento in poppa. Ha pure presentato l'inno del Pdl. Il tilo è eloquente: «Meno male che Silvio c'è».

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