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Vogliono far dimenticare Prodi

Romano Prodi

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Di certo al Quirinale una simile ipotesi non è vista di buon occhio. Spiega una fonte certamente ben informata: «Bisogna svelenire il clima. Meglio un governo neutro che resti lì a gestire l'ordinaria amministazione. C'è ancora un clima esasperato tra i due poli dalla scorsa campagna elettorale, le accuse violente che si sono scambiate. Sarebbe più giusto che nella prossima campagna elettorale gli attori siano solo gli attuali candidati». E che vuol dire? Giorgio Straquadanio, senatore forzista e uno dei ghost writer di Palazzo Grazioli, traduce senza mezzi termini: «Se Prodi resta a Palazzo Chigi, Berlusconi avrà vita facile. Farà propaganda solo su di lui e costringerà Veltroni a rispondere dello sfascio lasciato dal Professore». Insomma, siamo al paradosso. Il Pd non vede l'ora di togliere il loro amato Romano dalla presidenza del Consiglio, tanto che dal loft di largo Sant'Anastasia si limitano a confermare solo un aspetto: «Walter si presenterà per un nuovo modo di far politica». E d'altro canto per Veltroni «nuovo», «nuova» è stata la parola chiave del suo discorso al Lingotto di Torino, quello dell'investitura: la citò ben 37 volte, quasi come «democratico», che fu pronunciata in 39 occasioni. E «Nuova stagione» era lo slogan per le primarie di ottobre. Nuovo. Per sembrare tale dovrà presto far dimenticare Prodi, il vecchio, il cui operato è in cima al disgusto degli italiani. Solo due su dieci approvano il suo lavoro alla presidenza del Consiglio. L'ultima onta per Romano può essere quella di diventare d'intralcio, un peso. Un peso per i suoi, per il suo partito, per il partito che ha fondato. A parole ovviamente tutti dicono il contario. Veltroni per esempio si premura di dire che «rivendicare il lavoro del governo Prodi sarà il punto di partenza». E lo stesso premier uscente, incontrando quello incaricato Franco Marini, ha assicurato massimo sostegno. E vabbè, questo impone la cortesia istituzionale e non solo. Resta quella preoccupazione del Quirinale, Prodi in carica come fattore di disturbo. Di qui la necessità di un governo neutro per la campagna elettorale. Un timore che finanche un prodiano doc come Giampaolo D'Andrea, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, considera «una preoccupazione non infondata». D'Andrea però chiarisce che «ciò che sta dicendo Prodi corrisponde esattamente al suo stato d'animo. Chi vede vendette o altro è fuori pista. Il presidente è sereno, darà il suo contributo alla campagna elettorale nelle forme che gli verranno richieste». Ma come far uscire di scena Prodi? Le strade sono due. Marini ora avvia le consultazioni, poi, anche se non avrà una maggioranza, potrebbe presentarsi al Quirinale chiedendo di essere spedito comunque alle Camere. A quel punto giurerebbe, presenterebbe la lista del ministri e farebbe il cambio delle consegne con il Professore. Successiva tappa potrebbe essere Montecitorio, dove il centrosinistra ha i numeri. Incassata la fiducia ma registrate le divisioni, Marini tornerebbe al Quirinale evitando lo scontro in Senato come fece Prodi. Ma resterebbe in carica per gli affari correnti, e dunque il Quirinale avrebbe il suo governo neutro. La seconda via vedrebbe Marini andare subito al Colle e indicare un altro nome per compiere un'ulteriore esplorazione. Comunque, il Prof sarebbe già nel dimenticatoio. Si vendicherà? Intanto chiederà un po' di deputati e qualche senatore. Poi si vedrà.

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