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«Il rischio è che il problema vero dei salari venga ...

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C'è il rischio dell'ennesima operazione transitoria? «Stando alle indiscrezioni mi sembra che l'orientamento sia quello di affrontare il problema con misure spot anzichè analizzare le cause strutturali che sono alla base della scarsa crescita dei salari». Quali sono le cause della frenata dei salari? «Sono tre le cause che in maniera concomitante insistono sulla compressione delle dinamiche salariali. Innanzitutto: il sistema produttivo produce occupazione a fronte di poca produttività. I posti di lavoro in più che si creano sono a bassa qualificazione. Bisognerebbe quindi mettere al centro gli stimoli alla produttività. Non sono cresciuti i salari reali ma il costo per unità di prodotto è il più elevato d'Europa». Quali sono gli altri due fattori di frenata dei salari? «Va riformato il sistema contrattuale ampliando il secondo livello. In Inghilterra dieci anni fa i valori dei salari erano simili ai nostri ma ora sono superiori del 30% e lì la contrattazione non è il sistema portante della crescita retributiva. Su questo i sindacati dovrebbero riflettere. C'è poi il fatto che sui salari continuano a esser riversate politiche fiscali non adeguate. Si fanno operazioni sull'Irpef. Bisogna uscire dalla logica che il reddito dichiarato sia il perno su cui si fanno le manovre. Quando si sgrava l'Irpef in basso si avvantaggia il reddito autonomo mentre quando si agisce in alto si penalizza il ceto medio. Bisogna evitare che sia l'Irpef la base su cui si fanno le operazioni. A questso si aggiunge l'aumento dei contributi che serve a pagare un welfare costoso». Allora come se ne esce? «Prima occorre riformare il sistema contrattuale rendendolo più sensibile alla produttività con incentivi fiscali al salario di produttività. Poi una politica di abbattimento fiscale graduale». L.D.P.

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