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Enrique de Rivas: "Per crescere fate il federalismo"

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Poi,d'improvviso, togliamolo. L'effetto sarà quello dello champagne: un'esplosione di vitalità, un'eruzione di intraprendenza, un diluvio di iniziative. Ecco, la dittatura di Francisco Franco, dopo una guerra civile feroce e traumatizzante, rappresenta quel tappo. A partire dal 20 novembre 1975, giorno della morte del caudillo, la Spagna è cresciuta a velocità impressionante, soprattutto da un punto di vista economico (tanto da superare l'Italia come reddito pro-capite), ma non solo. A usare la metafora del tappo è lo scrittore Enrique de Rivas, «classe 1930». Rivas vive nella nostra Penisola da quattro decenni, recentemente ha pubblicato «Quando finirà la guerra» ed è considerato uno degli scrittori più importanti della letteratura spagnola contemporanea. Che cosa è successo, secondo lei? «Dopo la scomparsa di Franco la gente ha cominciato a respirare un'aria nuova. Alla maggiore libertà nei costumi, soprattutto sessuali, si è affiancata quella nei consumi. L'ingresso nell'Unione europea ha rappresentato un enorme balzo in avanti per la Spagna. E il salto è sembrato più rapido e visibile che in Italia, un Paese già sviluppato economicamente e più progredito nei rapporti sociali. Ricordo che venni qui da turista nel 1958 e mi sembrò tutto così moderno!». Ma non è solo una questione di percezione. Il sorpasso c'è stato anche nella realtà. Per quali motivi? «Il vostro è un Paese molto più complesso della Spagna. Il territorio è meno vasto, la densità della popolazione più alta. E basta andare a Napoli o a Venezia per avere l'impressione di trovarsi all'estero, con una diversa mentalità, una diversa atmosfera, una lingua diversa. Poi c'è il divario spaventoso fra Nord e Sud, che da noi è molto meno ampio». La vostra classe politica è sensibilmente più giovane della nostra. Zapatero è andato al potere a 43 anni, Prodi a 57. Non c'è anche questo da mettere in conto? «Anche questo è indicativo di una storia travagliata come è stata la vostra. I 36 anni di franchismo hanno creato un vuoto, hanno distrutto la continuità politica. E hanno lasciato una situazione più semplice. Poi, in tempi più recenti, gli spagnoli hanno riscoperto la politica. D'altro canto, voi siete un Paese giovane, nato formalmente nel 1870, mentre la Spagna ha goduto di maggiore continuità come nazione». Ma se lei dovesse indicare due o tre ragioni per l'effervescente e rapido sviluppo iberico...? «Una delle chiavi di questo successo credo sia stata l'autonomia locale. Con Franco l'unica regione autonoma era la Catalogna, oggi ce ne sono una quindicina. Ciò ha favorito molto il progresso economico». Quindi, meno autonomia e divario tra Nord e Sud. Che cos'altro ci blocca, secondo lei? «Sicuramente un grosso ostacolo è la burocrazia. Credo che Italia sia arrivata a un punto di saturazione. Chi vuole fare affari qui è costretto a ottenere una serie interminabili di autorizzazioni per ogni cosa. Ed è un discorso che vale anche per le piccole incombenze quotidiane di tutti i cittadini». Ad esempio? «Vivere qui è molto complicato. Ammiro molto gli italiani che spesso affrontano questi problemi con un sorriso, io mi arrabbio ancora molto. Ad esempio, io ho la cittadinanza messicana, cioè sono un extracomunitario, e ogni due anni devo rinnovare il permesso di soggiorno. Bene, adesso il sistema è cambiato e si fa tutto con la posta. Ma la posta non funziona come dovrebbe. Io ho fatto la domanda tre mesi fa e sono sei mesi che aspetto una risposta. Alcuni mei amici sono in attesa da un anno. Le sembra una cosa possibile?».

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