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Legge elettorale, il dialogo è già finito

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Dicerto, dopo un paio di giorni di «decantazione», i partiti medio-piccoli, a destra come a sinistra, sembrano essersi fatti un po' di conti e valutato che la bozza Vassallo-Ceccanti sulla legge elettorale non fa esattamente al caso loro. Lo ha capito l'Udc che, anche se rimane sulla posizione «wait and see» (con Casini che ribadisce di voler aspettare la prossima settimana per pronunciarsi), fa comunque passare il messaggio di non aver troppo gradito il simil-spagnolo proposto da Walter Veltroni. «Siamo aperti al dialogo - fa sapere il segretario centrista Lorenzo Cesa - ma nella chiarezza. Questa proposta ci lascia perplessi. È un mix di tedesco con molto spagnolo, perché porterebbe quasi a un bipartitismo, e non si vede che c'è di italiano. Comunque, quando ci recapiteranno la proposta valuteremo». Hanno già fatto le loro valutazioni, invece, e non sono benevole, i piccoli dell'Unione che in una riunione di maggioranza alla Camera su tutt'altro argomento (il decreto fiscale) hanno manifestato tutto il loro malumore. Tra i più arrabbiati quelli del Pdci che arrivano addirittura a minacciare l'uscita dal governo. «Sulla legge elettorale - avverte il presidente dei deputati dei Comunisti Italiani, Pino Sgobio - o si cambia passo o non c'è motivo di stare in questa maggioranza. Prodi intervenga prima che ci si faccia male davvero». A fianco del partito di Diliberto anche gli altri piccoli dell'Unione che alla fine chiedono al neo-capogruppo del Pd, Antonello Soro, di fare presente a Prodi e a Veltroni la situazione. Obiettivo dell'ira dei «cespugli» anche il Prc e il presidente della Camera Fausto Bertinotti che, accusano, si starebbe accordando con Veltroni «pensando di aver risolto i propri problemi con la bozza Vassallo». A questo punto, è l'invito del capogruppo dell'Udeur a Montecitorio, Mauro Fabris, «sarà bene che la maggioranza definisca in fretta una posizione comune evitando accordi extra-parlamentari con pezzi dell'opposizione, come il neo-segretario del Pd Veltroni, con il poco istituzionale presidente della Camera Bertinotti, ha tentato di fare». Il malessere dei piccoli sulla riforma del sistema di voto, tra l'altro, si inserisce in un momento complicato, con il voto finale sulla Finanziaria in Senato, ma anche con la discussione in corso su welfare e dl fiscale. «Nelle riunioni di maggioranza - osserva il senatore Roberto Manzione - gli umori sono cambiati dopo l'uscita di Veltroni e ci può essere anche chi più che far vivere qualcosa in cui non si sente rappresentato potrebbe far morire qualcosa in cui è rappresentato». Il governo, comunque, è ottimista (il premier Prodi si è detto «fiducioso» per domani) e punta a incardinare le riforme in gennaio. Sia il ministro delle riforme Vannino Chiti che il vicepremier Massimo D'Alema chiamano la Cdl. «Sui grandi temi che riguardano le istituzioni e la legge elettorale - è l'invito del ministro degli Esteri che guarda già a dopodomani - l'opposizione dovrebbe discutere sulle soluzioni che sono necessarie per il Paese».

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