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di STEFANO MANNUCCI TRENT'ANNI dopo Lama, alla Sapienza si è consumato un altro parricidio.

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Ma anche i fischi dei ragazzi dei collettivi paiono qualcosa di più di un allarme. Suonano come la vibrazione profonda di un sisma lontano, nel vasto e ancora parzialmente inesplorato territorio che a Sinistra non sembra avere confini: lì i giovani cannibalizzano i "saggi", gli "anziani", i passaparola di un comunismo d'antan che si ostina ad armonizzare la propria duplice natura "di lotta e di governo". Stavolta a soccombere è stato il compagno Fausto, il figlio del macchinista, il roccioso teoreta del sindacalismo duro e puro, l'intransigente leader rifondarolo che nel '96 affossò il primo Prodi sulle pensioni e sulla Finanziaria. Il 2 giugno, già presidente della Camera, lo vedevi sorridente alla parata, con la spilletta della pace bene in vista. Non è bastato. Ieri ha capito, in un lampo, che il suo destino si stava compiendo: gli gridavano addosso "buffone ed assassino", come decenni prima accadeva ai poliziotti e ai compromessisti di Botteghe Oscure. E ha fatto quasi tenerezza la sua mezza citazione del Grande Timoniere. Bertinotti l'ammorbidiva in «la politica non è un pranzo di gala». Ma la frase originaria di Mao diceva che è la rivoluzione a non essere un pranzo di gala, «non si può fare con tanta eleganza, e cortesia, è un atto di violenza». Concetto gemello di quello espresso da Stalin: «Non si può fare una rivoluzione in guanti di seta». Comprensibilmente, Bertinotti ha invocato il pragmatismo di chi deve affondare le mani nel terreno scivoloso della politica. Paradossale la sua sorte: lui strenuo difensore del pacifismo tout-court, mentore dei no-globalisti e dei disobbedienti, ridotto d'un colpo al ruolo di "tigre di carta" pseudo-reazionaria. Davanti a lui, forse, i nipotini di Bakunin e Proudhon, i sostenitori dell'anarchismo rosso, gli esegeti della rivoluzione permanente à la Trockji, o, più semplicemente, altri spontaneisti ammaliati dall'Utopia. Ma sbaglierebbe Bertinotti a liquidare con un'alzata di spalle la protesta all'Ateneo, o ad attribuirla a «schegge di non-politica» perché anche questa crepa in piazza rischierebbe di allargarsi: e a finirci dentro potrebbe non essere solo il luogo comune della "pace", le rivendicazioni studentesche o il programma della Sinistra più o meno radicale, ma anche la credibilità di uno dei massimi ruoli istituzionali, creando altro disagio nel Paese. Quando Lama fu costretto a battere in ritirata nascosto in un camion del Pci, poi non fu solo folklore da Indiani Metropolitani: qualcuno, nell'assordante silenzio del trauma dei berlingueriani, si risolse per prendere le armi. Stavolta i contestatori si definiscono "pacifisti" ma oltranzisti. E qui, come sosteneva Karl Popper, «all'uomo irrazionale interessa solamente avere ragione. All'uomo razionale interessa imparare». Anche quando si è colpiti a freddo, da un'ostilità nuova. [email protected]

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