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A Kabul spunta l'amnistia

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La vicenda di Daniele Mastrogiacomo cade in un momento molto delicato per il futuro dell'Afghanistan. E forse non è un caso che i taleban abbiano cercato un ostaggio di «valore» all'inizio della troppo annunciata offensiva Nato fortemente voluta dall'amministrazione Bush. A Kabul sono settimane che la vicende politiche ruotano intorno all' amnistia votata quasi all'unanimità dal Parlamento afghano e di cui Karzai cerca di rinviare la firma. La Loya Jirga ha infatti promulgato una legge che cancella tutti i crimini di guerra commessi tra il 1979 e 1996. In una prima stesura era inserita anche la possibilità che potesse usufruire di questa amnistia il Mullah Omar la guida suprema dei taleban. Succesive modifiche hanno evitato questa eventualità. Ma è proprio l'aministia la chiave di volta del risiko afghano. Anche nell'ottica di una veloce e positiva soluzione della vicenda del giornalista Daniele Mastrogiacomo. Votata nel nome della «riconciliazione nazionale», della legge beneficeranno tutti i gruppi e le fazioni etniche dei mujaheddin, ma non i singoli individui, che si sono affrontati nella sanguinosa guerra civile iniziata nel 1992 dopo la fine di quella di resistenza contro l'occupazione sovietica (1979-1989) e contro il regime comunista di Najibullah, e conclusasi nel 1996 con l'avvento al potere dei taleban. Il presidente Hamid Karzai ha dovuto conciliare le pressioni della Casa Bianca e il tentativo di tenere unito il suo governo e il suo popolo. Molti ministri infatti usufruiranno del provvedimento. Il primo effetto della legge è stata la rinuncia alla guerra da parte di Gulbuddin Hekmatyar, l'ex primo ministro anch'egli ricercato e ancora attivo militarmente, che nei giorni scorsi avrebbe fatto una richiesta al governo afghano di «collaborare» con Kabul. Dopo però aver saputo che il suo caso non rientrava più nell'amnistia, il signore della guerra che si è vantato di aver fatto fuggire da Tora Bora Osama Bin Laden, è tornato sui suoi passi, sostendeno di continuare la lotta contro gli «infedeli invasori». Sul terreno poi, a fianco all'offensiva militare della Nato c'è l'avvio della campagna di sradicamento delle coltivazioni di papaveri da oppio nella provincia meridionale di Helmand, e già si contano i primi scontri fra l'esercito afghano e i contadini che si oppongono alla distruzione dei loro campi. I coltivatori sono appoggiati dai talebani o dai signorotti locali. Le terre coltivate a papavero, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, lo scorso anno sono aumentate del 59 per cento rispetto al 2005 e non è stato ancora approntato un programma per sostituire le coltivazioni. Ci stanno provando i nostri alpini nella provincia di Herat aiutando a piantare zafferrano, spezia preziosa che compensa in parte le perdite economiche della distruzione dell'oppio. In questi giorni i campi del Sud dell'Afghanistan si tingono di rosa, il fiore del papavero da oppio, e il governo ha ricominciato l'offensiva contro quello che Karzai ha definito un nemico. «Bisogna distruggere l'oppio - ha detto il rpesidnete afghani - o l'oppio distruggerà noi». L'oppio infatti finanzia la jihad talebana, la criminalità e aiuta a corrompere la nascente democrazia afghana. Senza la distruzione dei campi di papaveri i soldi promessi dalla cooperazioen internazionali saranno solo prommesse. [email protected]

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