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di GIANNI DI CAPUA È PASSATO poco meno di un mese, ma è come se fosse trascorso un anno.

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A Roma, nell'Aula del Senato, il governo di Romano Prodi andava sotto sulla politica estera. Grande fermento, immediate dimissioni del premier e il Presidente della Repubblica era costretto ad un rientro forzato nella Capitale. Non prima di aver fatto una promessa solenne: tornare nel capoluogo emiliano per completare il programma della visita. Dopo tre settimane il Capo dello Stato ha mantenuto la sua promessa e, come da programma, si è presentato alla redazione del Resto del Carlino alla stessa ora prevista il 21 febbraio. Un'occasione troppo ghiotta per non concedersi una battuta. «Credo di aver mantenuto la parola e adesso - ha esordito scherzosamente Napolitano - vi dico che spero di poter tornare ancora a Bologna e vi assicuro che sceglierò accuratamente il momento per non essere costretto a scappare via precipitosamente». Poi spazio alla politica. Il Capo dello Stato ha preso le mosse proprio dalla crisi di governo. «Devo e voglio essere fiducioso - ha detto - sulla nuova fase che si è aperta dopo la crisi di governo». Secondo Napolitano le forme in cui la «democrazia dell'alternanza» si è concretizzata finora in Italia («un conflitto esasperato e un confronto senza quartiere e senza reciproco ascolto tra i due schieramenti») non ha giovato al paese. Proprio per questo il Presidente intende continuare nel suo sforzo perché si sviluppi tra le forze politiche «un dialogo più pacato e costruttivo». Intanto, ha spiegato, «andiamo avanti il più possibile, e cerchiamo di guardare a una possibile soluzione dei problemi come quello della legge elettorale e anche come quello di alcune particolari e importanti disposizioni della seconda parte della Costituzione che possono contribuire a un'evoluzione più distesa più costruttiva, più feconda della dialettica politica ed istituzionale nel nostro paese». Napolitano ha quindi precisato di aver ritenuto un suo dovere rivolgersi ai cittadini, in occasione della crisi, «per spiegare le decisioni che avevo preso». «Si è spesso chiamati a intervenire - ha detto - e poi, quando si interviene, si è accusati di eccesso di interventismo. Per quanto mi riguarda sono intervenuto esclusivamente nei limiti delle mie responsabilità e dei poteri che mi affida la Costituzione». Il Capo dello Stato ha quindi commentato la partecipazione di Renato Curcio a una riunione nella quale sono stati rievocati gli «anni di piombo». «Diamo il credito che è giusto dare, e le possibilità di reinserimento che è giusto dare, a coloro che hanno pagato il proprio debito con la giustizia»; ma «chiediamo rispetto, misura e serietà nei comportamenti di chi non può dimenticare le colpe di cui è stato responsabile verso la democrazia e le persone, verso le famiglie degli agenti delle scorte che sono caduti insieme alle persone che tutelavano». Il presidente ha spiegato di aver ritenuto di dover dire su questo argomento «una parola in una forma inconsueta», visto che «qualcuno ha scritto "come mai un presidente della Repubblica scrive una lettera a un giornale"». «Di sicuro - ha affermato - non è disdicevole per il Presidente della Repubblica; e non credo che lo sia per le istituzioni, dato che è un modo per intervenire in maniera più diretta con l'opinione pubblica e con la gente. E quando ho visto sui giornali la lettera di protesta dei familiari degli agenti di polizia e dei carabinieri della scorta di Aldo Moro ho pensato di dover dire una parola». «Il capitolo che pensavamo si potesse essere chiuso tanti anni fa - ha affermato Napolitano - si è riaperto. Prima con l'assassinio del professor D'Antona e poi di Biagi, due vicende parallele, e si è riaperto con recenti indagini che hanno portato a coprire nuove cellule schiere terroriste e nuove potenziali minacce».

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