Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Bertinotti e Diliberto pronti a ricompattarsi per evitare la deriva centrista dell'Unione

default_image

  • a
  • a
  • a

C'è il tradimento, il litigio, la separazione, la riappacificazione e l'amore che sboccia nuovamente. No, non è la trama di una soap, ma la descrizione degli ultimi otto anni di storia del rapporto tra Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani. Tutto cominciò nel 1998 quando l'allora segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti decise di togliere il sostegno del partito al primo governo Prodi. Il presidente del partito Armando Cossutta e il capogruppo alla Camera Oliviero Diliberto, leaders dell'area filogovernativa, fecero i bagagli e diedero vita al Partito dei Comunisti Italiani. Una scissione che segnò, contestualmente l'inizio della competizione. Una cosa naturale per due partiti che «pescano» nello stesso bacino elettorale. Così, ogni volta che Bertinotti si avvicinava al centrosinistra, Diliberto e Cossutta ricordavano la scelta del '98. Un primo tentativo serio di ricomposizione si ebbe nel 2005 quando Diliberto annunciò: «Ho proposto a Bertinotti, già da un anno, di fare una lista insieme alle Europee. Cofnermiamo di essere pronti alla più larga unità con Rifondazione, ma anche con i Verdi e con i movimenti dei lavoratori». Nulla di fatto. Poco male, nonostante le divergenze, i «fratelli-coltelli» si sono ritrovati fianco a fianco alle ultime elezioni. Ma non è stata una passeggiata. Tanto che Bertinotti, a un mese dalle elezioni (8 marzo 2006), accusava: «Subiamo una concorrenza che non pratichiamo perchè, essendo comunisti, non amiamo la concorrenza». E le polemiche non sono mancate. Dal caso Ferrando alla commemorazione della rivoluzione ungherese del 1956 è sempre la stessa musica. Almeno fino a ieri quando, nell'Aula di Montecitorio, Bertinotti e Diliberto hanno sotterrato l'ascia di guerra. Per la verità era stato proprio il presidente della Camera ad aprire uno spiraglio di dialogo qualche giorno fa quando, in un'intervista a Liberazione aveva invitato la sinistra radicale a «risolvere il problema dell'efficacia, quindi dell'unità». «Solo così - aveva detto - potrà confrontarsi con l'ala riformista». Parole riprese dal segretario di Rifondazione Franco Giordano che, sempre su Liberazione di ieri, rilanciava: «Credo che debba essere accolta bene qualsiasi cosa vada nella direzione di sgomberare gli elementi competitivi tra le forze di sinistra, ma sono convinto che le novità non si giocano nel rapporto tra stati maggiori». Una leggera frenata che non ha scoraggiato il segretario del Pdci Oliviero Diliberto che, intervenendo durante il dibattito per la fiducia ha confermato la linea. «Qualcuno - ha spiegato - immagina un centrosinistra che sia assai più marcatamente di centro e pochissimo di sinistra. Magari con l'Udc dentro e noi fuori. Occorre sventare tali manovre. Le forze politiche che siedono alla sinistra di questo Parlamento, e tutte quelle che saranno disponibili devono trarre un insegnamento dalla crisi. La frammentazione e la logica della nicchia non paga. Questa crisi potrebbe insegnarci che ora è il momento, tra noi, dell'unità». A questo punto Diliberto ha lasciato il proprio banco e si è diretto verso il presidente Bertinotti. Una stretta di mano e un cordiale colloquio di pochi minuti. Insomma, lo spostamento verso il centro dell'Unione, sembra aver finalmente convinto Pdci e Prc a mettere da parte gli antichi rancori. Ma c'è di più. Quello di ieri, infatti, potrebbe essere l'inizio di un progetto più ambizioso che potrebbe portare ad un partito unico della sinistra che raccolga anche le minoranze Ds pronte a scindersi se dovesse nascere il Partito Democratico. Prodi, Rutelli e Fassino hanno di che preoccuparsi. [email protected]

Dai blog