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Oggi Prodi incassa una fiducia scontata a Montecitorio

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I numeri di Montecitorio, infatti, consentono al Professore di dormire sonni tranquilli. La maggioranza può contare infatti su 348 voti (senza contare quello del presidente Bertinotti) contro i 281 al massimo dell'opposizione. Anche qui, però, l'Unione deve fare i conti con dei «dissidenti», ma in questo caso solo due: Salvatore Cannavò, deputato della minoranza di Sinistra Critica del Prc, e Daniele Capezzone, deputato della Rosa nel Pugno ed ex segretario dei Radicali. Cannavò non parteciperà al voto anche in solidarietà con il suo compagno Franco Turigliatto, espulso dal partito. Capezzone, invece, si asterrà: fin dall'inizio ha bollato come troppo deboli e inadeguati i 12 punti del documento di Prodi, accolti dai leader dell'Unione. Due dissidenti che portano a 346 il totale dei voti su cui può contare la maggioranza, ben 65 in più del massimo a cui può arrivare il centrodestra. Niente a che vedere dunque con il thrilling che accompagna ogni voto del Senato, dove l'Unione prevale per un voto e, per il resto, fa affidamento sui senatori a vita. «Era opportuno che alla fine ci fosse un momento di verità — ha commentato ieri il ministro degli Esteri Massimo D'Alema a proposito del voto a Palazzo Madama — E la verità è che la maggioranza è ristretta ma anche che questo governo con una maggioranza di pochi voti non ha alternative. Ha il diritto e il dovere di governare il Paese e cercheremo di farlo al meglio». E dopo la tempesta di mercoledì al Senato ieri alla Camera c'è stata calma piatta. Nell'Aula di Montecitorio, dove si è svolta una «no stop» di interventi sulla fiducia al governo Prodi, non si è registrata nessuna delle tensioni e delle passioni che hanno caratterizzato il dibattito a Palazzo Madama prima che il governo Prodi incassasse la fiducia. Una situazione decisamente tranquilla, tanto da indurre il presidente del Consiglio a limitare la sua presenza nell'emiciclo, che tuttavia è sempre rimasto presidiato da una pattuglia di ministri. Prodi è arrivato in Aula all'inizio del dibattito per uscirne un'ora dopo, quando è rimasto a chiacchierare con ministri e parlamentari in Transatlantico. Un'altra puntata ai banchi del governo l'ha fatta nel pomeriggio, ma solo per ascoltare, fra gli altri, il capogruppo del Prc Gennaro Migliore (che parlava con accanto il segretario del partito Franco Giordano) e Renzo Lusetti della Margherita. Migliore ha sottolineato che «dalla crisi è emersa una nuova capacità politica di ascolto e di creare spazi di partecipazione», rassicurando il presidente del Consiglio: «Se il consenso è forte fuori dal Parlamento, si può governare anche con una maggioranza esigua nelle Camere». Più o meno fissa la scansione dei temi negli interventi: il «voltafaccia» di Follini, l'attuazione del «dodecalogo» e la riforma della legge elettorale. La maggioranza ha manifestato unanime solidarietà all'ex segretario dell'Udc, invece ripetutamente accusato di «tradimento» dalla Cdl che gli contesta, con Mario Landolfi (An), di aver permesso «un imbroglio» con il suo «trasformismo». [email protected]

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