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Il ministro degli Esteri D'Alema «In Afghanistan cambio di strategia»

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Tra chi come la sinistra radicale vorrebbe il ritiro delle truppe e chi, come i moderati di centrosinistra, preferirebbe al contrario rimanere in Oriente, se non altro per dare un segno tangibile di una rappresentanza italiana in Afghanistan. Posizione, quest'ultima, abbracciata prima di tutto dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema: «Andare via dall'Afghanistan ci isolerebbe dall'Onu e dall'Unione Europea», ha chiosato D'Alema. «Sarebbe una scelta non compresa dalla comunità internazionale», ha incalzato il segretario dei Ds Piero Fassino, commentando la richiesta di exit strategy da parte della sinistra radicale: a far da spalla anche la Margherita di Francesco Rutelli, che ha chiosato con un «siamo un paese serio, manteniamo le nostre posizioni». Il dibattito sul tavolo del governo? Il rifinanziamento o meno della missione afgana. Una questione che sta dividendo la maggioranza di Palazzo Chigi. Tra chi come la sinistra radicale non vorrebbe proprio sentire parlare di rifinanziamento, chi vorrebbe porre il voto di fiducia e chi, al contrario, preferirebbe evitare una qualsiasi espressione di preferenza in merito: «La politica estera richiede coerenza e non si può passare il confine tra politica e testimonianza. Andare via dall'Iraq - ha continuato il ministro - era un atto politico forte e difficile. Andare via dall'Afghanistan sarebbe una rinuncia a esercitare il nostro ruolo politico», ha concluso D'Alema. E mentre nella provincia meridionale di Kandahar - roccaforte dei talebani - nell'arco di una settimana sono stati catturati ben undici aspiranti kamikaze, a sinistra gli umori continuavano a essere vari e vasti. A credere che la missione non sia in bilico il ministro Mussi, a margine della terza assemblea nazionale dei segretari di sezione della Quercia e a corredo delle parole di D'Alema. Sulla stessa linea il ministro della Giustizia Clemente Mastella, secondo il quale il governo - fiducia o meno - non rischierebbe di cadere ma, al massimo, «rischierebbe di fare una brutta figura sul piano esterno», ha commentato intervenendo a un incontro con l'Unione delle Camere penali italiane a Milano. Più netto il giudizio di Nello Formisano, capogruppo in Senato dell'Italia dei Valori, secondo il quale in gioco ci sarebbe la credibilità stessa del Paese: «Anche sulla vicenda Afghanistan si misurerà la credibilità internazionale dell'Italia. Occorre che il ruolo che ci siamo conquistati in questi mesi nel consesso istituzionale, non venga scalfito da decisioni adottate su base di un'ondata emozionale». A caldeggiare un vertice di maggioranza sulla missione in Afghanistan i Verdi di Bonelli, affinché si possa «arrivare a una stesura condivisa del decreto del governo» mentre, più categorico è stato il capogruppo del partito di Rifondazione Comunista Giovanni Russo Spena, con la richiesta, almeno, «di un cambio di strategia», condizione senza la quale la stessa missione in Oriente non avrebbe alcun senso. «Sulla base di Vicenza il Presidente Prodi ci ripensi e al contrario sulla missione in Afghanistan nell'Unione si lavori per individuare scelte "coraggiose" che portino a un'uscita da quel territorio, vero e proprio pantano senza fine. L'Unione non può deludere il popolo che ci ha votato sulla base di un programma. Che segnava forti discontinuità con il passato governo anche su questi temi. Faremo tutto il possibile per far cambiare idea al governo», ha affermato Pino Sgobio, capogruppo PdCI alla Camera. «Porre la fiducia sull'Afghanistan - ha detto Paolo Villetti, capogruppo PdCI alla Camera - non sarebbe soltanto una prova di debolezza del centrosinistra».

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