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Fassino scaglia la prima pietra: «Riforme radicali o l'Italia non ce la fa, è mancata la condivisione»

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E invece, macché. Ventiquattr'ore dopo i fischi e gli insulti, ecco un'altra stangata. Comincia Fassino e va ben oltre il «mea culpa» sulla Finanziaria, con un aut aut sulle riforme. Il segretario dei Ds sceglie l'assemblea degli amministratori locali dell'Ulivo sul Pd per fare autoscienza sulle proteste che ha suscitato la legge Finanziaria, e giù un'altra tegolata su Prodi. Invece di minimizzare l'accaduto, come ha fatto il presidente della Camera Bertinotti, che ha definito i fatti di Bologna «un episodio spiacevole ma politicamente insignificante» Fassino incalza. «Non è la comunicazione sulla Finanziaria che è mancata, ma la condivisione della Finanziaria, una questione molto più spessa» dice Fassino. Ed ecco l'altolà. «O si mette mano a riforme strutturali che intervengano su come si accumula e su come si spendono le risorse pubbliche, o il Paese non ce la fa». Per Fassino bisogna far seguire alla Finanziaria un piano di riforme strutturali «nel mercato del lavoro, nella sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, nella qualità e nell'efficienza della pubblica amministrazione per riequilibrare la spesa, nelle liberalizzazioni». «Sono punti nodali - dice Fassino - o produciamo un cambio di passo, o allora in questo caso i 38 miliardi della finanziaria saranno fruttuosi, o il rischio è che lo sforzo gigantesco messo in campo con la manovra non dia i risultati che deve dare». Il rischio, aggiunge Fassino, nel il prossimo anno, è quello «di un corto circuito anche perché non credo che saremo più in grado di produrre una finanziaria da 38 miliardi di euro. Il mio non è un pallino - conclude Fassino - ma è la sottolineatura che le riforme srutturali sono necessarie perché le stesse misure in finanziaria assumono un significato diverso se sono accompagnate o meno dalle riforme». Fassino ha ribadito che il governo «ha cercato di restituire al Paese quella fiducia e sicurezza di sé che aveva via via perduto al termine dei cinque anni di governo di destra». Ma se la crescita economica, ha ripetuto Fassino, «sarà inferiore al 2% l'anno, questo processo di stagnazione e di incertezza resterà: solo con la crescita si potrà restituire fiducia al Paese». «Nonostante questa strategia - ha aggiunto il leader dei Ds - non siamo riusciti a evitare disagi, malessere e proteste che hanno investito settori diversi della società, anche di chi in teoria - ha proseguito Fassino citando il caso della protesta degli operai di Mirafiori - avrà dei benefici da questi interventi». Per questo, ha ribadito «dobbiamo interrogarci su questo disagio ha sottolineato e dare risposte, non girare la testa dall'altra parte, dobbiamo costruire una agenda di riforme con una forte condivisione». Dunque, è la conclusione di Fassino, «serve un cambio radicale di passo, o si mette mano alle riforme radicali, al modo in cui il Paese accumula risorse e le spende o l'Italia non ce la fa e per questo servono quelle riforme strutturali». Parla di «calo di popolarità» il ministro Damiano, che ha rilevato che l'esecutivo sta subendo «le contraddizioni che pure ci sono» al suo interno. «Ammetto, - dice Damiano - che ci sono stati temi, come la tassa di successione, che hanno lasciato perplessa l'opinione pubblica e che hanno oscurato tante cose buone, come lo sviluppo e l'equità sociale. Che pure ci sono». «Non mi preoccupa una piccola contestazione ma il fatto che il governo non riesca a chiarire la missione al Paese» dice il deputato diessino Giuseppe Caldarola. «Un episodio sgradevole, probabilmente organizzato, ma è il bello della democrazia» per Marina Sereni, vice capogruppo dell'Ulivo alla Camera. Ammette «un certo malcontento» il ministro Bonino. Mentre la contestazione «fa parte della tradizione democratica» per l'ex minist

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