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La guerra disonesta sfuggita di mano

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al compagno «di ferro» Oliviero

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Al contrario. Il segretario del Pdci l'ha pronunciata il giorno prima del corteo romano per la pace in Medio Oriente. E, quando era già in piazza, ha dichiarato: «Non è una manifestazione contro il governo». La smentita giungeva immediata e sonora: «Prodi e D'Alema boia», replicavano indirettamente intorno a lui i manifestanti. «Non sono anti-israeliano e questa non è una manifestazione contro Israele, ma critica verso il governo di Israele», aggiungeva Diliberto. E al suo fianco, o pochi metri più in là, si bruciavano le bandiere con la stella di David e i «compagni» dei centri sociali urlavano: «La pace in Medioriente si fa così; armi, armi, armi ai feddayn», mentre quelli del «Campo Antimperialista» spiegavano che il partito di Oliviero era in coda al corteo perché «doveva vergognarsi» di essere al governo. Infine ieri, dopo il «guaio», «Diliberia» (come lo chiamano affettuosamente gli amici giocando sul nome del «purgatore» stalinista Laurentij Beria), ha ribadito la sua filosofia dell'idiozia: «Io posso rispondere di quello che fanno i militanti del mio partito. Non posso rispondere per ciò che fanno quattro imbecilli». Un autogol. Ma il compagnissimo Oliviero, nato nel '56, proprio l'anno della repressione sovietica in Ungheria (un caso o un segno inversamente proporzionale del destino?), non è nuovo a una trasgressività verbale che spesso (nolente o volente?) lo ha messo al centro delle polemiche e rischia di alimentare una spirale perversa. Dalle «mani grondanti sangue» di Bush strette da Berlusconi al «se ci avessero ascoltato non ci sarebbero stati quei morti», riferita a vittime italiane in Iraq, alle accuse a Bertinotti di essersi venduto al sistema, di accettare o addirittura favorire le «derive neocentriste» nell'Unione prima e nell'esecutivo poi, e di dialogare con i neofascisti solo per aver accettato l'invito alla festa di Azione Giovani da parte della sua «vice» Giorgia Meloni. Fino alla risposta «grondante» ironia spicciola a Daria Bignardi durante una puntata de «Le invasioni barbariche»: una serata col Cavaliere a Villa Certosa o con Briatore al Billionaire? «Al Billionaire ma imbottito di tritolo!». Che può far sorridere, tuttavia non è sicuramente segno di lungimiranza politica. D'altra parte, come ha scritto Diego Gabutti, Diliberia «non è un nostro contemporaneo, ideologicamente e politicamente parlando, ma un contemporaneo dell'Uomo di Neanderthal e dell'australopiteco» e ogni tanto se ne esce con qualche «pazzia», come fa notare il Foglio, quando ad esempio considera una «pura follia disarmare le milizie di Hezbollah». Quella di sabato, dunque, è solo la dimostrazione più recente (il futuro, ne siamo sicuri, ce ne riserverà altre) che il compagno Oliviero vive in un mondo scomparso. Almeno dal 1989. Un mondo nel quale il muro di Berlino è ancora in piedi, la guerra è sempre fredda, Stalin è un pacifico «baffone» che «ha da venì». E il comunismo il paradiso in terra per poveri e sfruttati. Un sogno per Diliberto non è (ancora) fallito. Ma forse tutto ciò non è effetto di uno stato di ebrezza da utopia e il «compagnissimo» punta a obiettivi molto realistici. È infatti dal '98, l'anno della «scissione», che il Pdci tenta di cavalcare l'elettorato di estrema sinistra galoppando a sinistra di Rifondazione. Non per niente il linguaggio dei suoi esponenti e del suo segretario si fa puntualmente più aggressivo contro i «cugini» del Prc in prossimità degli appuntamenti elettorali. E la partecipazione a manifestazioni-fotocopia di quella capitolina ne è l'indizio. Questa volta, però, l'autogol è stato doppio: da un lato i Comunisti italiani hanno incassato la «condanna unanime» del mondo politico, dall'altro sono stati emarginati e scavalcati a sinistra. Il compagno Oliviero dice che non teme gli imbecilli. Invece dovrebbe farlo, perché sono gli imbecilli «a procurare un danno al prossimo senza ottenere vantaggi per loro stessi» (la citazione è di Carlo Maria Cipolla). Com'è acca

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