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Il leader di An: «Noi discriminati come i neri del Sudafrica»

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Guarda la foto della squadra di calcio del Secolo d'Italia del 1983 che campeggia sulla copertina sui «ragazzi di via Milano» di Mauro Mazza. C'è, tra gli altri, un Gianfranco Fini in pantaloncini e calzettoni. Gervaso la guarda e provoca: «Che cosa è rimasto di quel terzino destro?». E Fini attacca, si lascia andare. Sarà stato il tono amarcord, sarà stato proprio il ricordo fatto dello scrittore dell'emerginazione pagata per aver fatto un'intervista ad Almirante. Sarà stata anche donna Assunta seduta in prima fila. Ma il leader di Alleanza nazionale, proprio nel giorno in cui annuncia un prossimo forum del partito sull'Italia che è cambiata, si lascia andare. Ricorda gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, la redazione del Secolo, e confessa: «Ho nostalgia di quello spirito, nostalgia dei lettori e del nostro mondo. Eravamo considerati delle mosche bianche, non c'era nessuna solidarietà». Fa una considerazione storica: «Allora pensavamo che il tempo ci avrebbe dato ragione e infatti eravamo sì incoscienti ma certamente non avevamo torto». Sottolinea come già allora dentro la destra si parlava di riconciliazione nazionale. «Oggi - sottolinea l'ex ministro degli Esteri - ci si interroga da più parti sul libro di Giampaolo Pansa, ma io, dopo averlo letto, ho spontaneamente pensato che per noi ragazzi di via Milano 70 fossero cose conosciute: quante volte il Secolo di via Milano aveva scritto le stesse cose che erano state considerate fandonie da tutti gli altri». Poi parte un nuovo affondo contro «la discriminazione nei nostri confronti, una discriminazione che potremmo definire etnica». «A quel tempo - spiega - non c'era una chiusura nei nostri confronti, ma una vera e propria pregiudiziale. Venivamo discriminati non per le nostre idee politiche, ma perché appartenevamo a quella comunità». Ricorda il caso di Giorgio Almirante al quale fu negato l'accesso al ristorante Cantagallo e il leader di An oggi commenta: «Quando si arriva a negare il cibo a qualcuno, si arriva ai livelli di razzismo che hanno subito i neri durante l'apartheid in Sudafrica». Ma il Fini che parla al museo Venanzo Crocetti, in via Cassia a Roma, cita il passato ma pensa anche al 2006: «Nessuno oggi dice che eravamo dei teppisti, tutti dicono che eravamo giovani che combattevano per le nostre idee». E non a caso invita tutti a rileggere gli articoli del Secolo di allora, rileggersi con senso critico «per rendersi conto della loro straordinaria attualità». «Ricordo quello che per me è stato il direttore, Alberto Giovannini, che scrisse: "Governare non è comandare". Ci ho ripensato tutti i giorni che ero al ministero». Ma che cosa voleva dire Fini con quella nostalgia dello spirito di quell'epoca, l'epoca del Msi? Il leader di An non dice altro ma qualche parola la tira fuori proprio Mauro Mazza, intervenuto subito dopo di lui: «Nel Msi c'era tanta politica e ci si divideva anche aspramente tra almirantiani e rautiani. Ma si tornava tutti uniti nel controbattere agli assalti che arrivano dall'esterno. Non come oggi che invece si cerca proprio qualche polemica per avere visibilità sui giornali». Qualsiasi riferimento a Francesco Storace, sarà certamente casuale. Ma nel finale il direttore del Tg2, con un sorrisetto sulle labbra e una voce tranquilla come se stesse raccontando una barzelletta, regala due bacchettate: «Con questo libro, scritto sul filo della nostalgia ma anche critico con il Msi di allora e An di oggi, spero di aver dato uno stimolo anche ad altri colleghi perché raccontino le loro. Penso a colleghi importanti, a direttori come Gianni Riotta del Tg1 e Antonio Caprarica direttore del Gr. Non bisogna vergognarsi». «Mi chiedo - conclude - come mai colleghi che lavorano al Manifesto, un giornale che aveva difficoltà economiche e che si fece aiutare da Bettino Craxi, o a Paese Sera, che ricevette finanziamenti dal Kgb, non raccontino le loro storie. Non esistono direttori marziani».

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