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di GIUSEPPE DE FILIPPI PROVIAMO a scegliere tra queste due frasi di Luca di Montezemolo quale ci colpisce di più.

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La seconda è: «nel 1994, durante la mia prima esperienza da presidente della Repubb…». Vabbé, la scelta è facile. La prima frase, pur apprezzabile nel suo intento di spronare tutti, ma proprio tutti (appunto a 360 gradi), verso la riscossa economica, suona alle nostre orecchie certamente interessante, ma forse anche un tantino già sentita. Non ci sorprende, Montezemolo, con la sua molto, troppo, condivisibile esortazione a alzarci come un sol uomo verso la riscossa. Scegliamo la seconda frase, se pur monca indiscutibilmente fa più notizia. Ma ha un difetto: è stata detta per sbaglio. Come si dice: chi non fa, non sbaglia. E Montezemolo fa molto, quindi rischia di sbagliare. Fa molti discorsi e, appunto, può succedere che ogni tanto gli scappi qualche frasetta sbagliata. E, come tutti noi, quando sbaglia, però, dice anche una puntina di verità. Ieri, poi, era in grandissima forma, perché dopo essersi definito, peraltro al passato, presidente della Repubblica (e non scherzate sul fatto che è una delle poche presidenze che ancora gli manchino), si è rivolto a Walter Veltroni chiamandolo ministro. I due errori insieme creano una Paperissima politica sicuramente divertente, ma anche significativa. Sembra di vedere, grazie agli errori, il mondo perfetto sognato da Montezemolo: il mondo di chi non è berlusconiano ma è deluso da Prodi, che vorrebbe le larghe intese o qualcosa di simile per non dover pagare pegno ogni giorno alla sinistra estrema e tenere in gioco, allo stesso tempo, la parte più moderna della sinistra. E' un progetto politico anche di un certo valore. E' un peccato affidarlo ai lapsus, seppure rivelatori. Che poi non è neanche la prima volta che gli sfugge una voce incontrollata. È di qualche settimana fa una perentoria esortazione rivolta al ministro Tommaso Padoa-Schioppa. Guardandolo fisso negli occhi e con il tono di chi dà paternamente un buon consiglio l'ineffabile Montezemolo gli ha detto: «dobbiamo lavorare insieme per cambiare questo governo». Costernato, ma solo per un momento. Padoa-Schioppa si è subito ripreso quando Montezemolo si è corretto spiegando che il complemento oggetto, la cosa da cambiare, non era il governo ma, più genericamente, il Paese. Curioso Paese, però, questo in cui si può dire tranquillamente che va cambiato «il Paese», programma apparentemente molto vasto (come disse Charles de Gaulle a chi gli proponeva l'abolizione dei cretini), ma bisogna subito correggersi e fare abiura se, da una posizione esposta come di quella di Montezemolo, si propone di cambiare il governo. Curiosità a parte, torniamo ai meravigliosi lapsus del presidente degli imprenditori. Messi tutti insieme costruiscono un puzzle di un certo fascino. L'idea, organizzando e coordinando un po' le varie frasi, è quella di mandare a casa questo governo per sostituirlo con un altro legittimato dai poteri forti dell'economia (la Confindustria) e guidato da un politico moderno e duttile della sinistra moderata. Come direbbe Freud: e ci voleva tanto per dirlo?

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