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di ALESSANDRO USAI LIBERTÀ è sinonimo di autonomia, indipendenza, arbitrio.

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In questa seconda definizione potrebbero essere inclusi la maggior parte dei Paesi europei, almeno nel comportamento economico. L'ultimo esempio, solo in ordine di tempo, lo fornisce Mediaset. L'azienda leader nel settore televisivo italiano ha conquistato questo primato che divide con la Rai attraverso anni di programmazione, lavoro, investimenti e ricerca tecnologica. Adesso il Ddl Gentiloni limita la libertà di impresa e costringe Mediaset e Rai a spedire una rete ciascuno su un mercato ancora in fieri come quello del digitale terrestre. E a pagarne il conto. Questa tendenza italiana di colpire le proprie aziende, pubbliche o private che siano, non fa altro che indebolire il suo patrimonio. Lo abbiamo visto già in molti settori: dalle banche alle telecomunicazioni. Meglio gli stranieri degli italiani sembra lo slogan scelto per l'occasione. Peccato che non ci sia questa proprietà transitiva della libertà nel nome della concorrenza nel resto d'Europa. In Germania la stessa Mediaset, che ha manifestato l'interesse per la Prosiebensat1, trova non pochi ostacoli dal legislatore anche in terra di Baviera. Tanto che si preferisce soprassedere sulla posizione dominante dell'editore Springer per impedire l'ingresso degli italiani. L'antitrust tedesco sembra infatti orientato a fare una deroga sulla posizione dominante di Springer e fornirgli così l'opportunità di partecipare all'asta sulle reti dell'ex magnate Leo Kirch. Gli esempi più clamorosi arrivano però dai nostri cugini francesi. Fiumi di inchiostro sono stati spesi sulla vicenda Enel-Suez. Il campo è quello dell'energia, il finale sempre lo stesso. Appena la società italiana ha semplicemente fatto intendere sottovoce di voler acquisire quella transalpina, è sceso addirittura in campo il governo di Parigi. Gas de France si è mossa e ha blindato la francese Suez. Tanto che il Senato ha approvato la privatizzazione di Gas de France per permettere la fusione con Suez. Ecco perchè le italiane Eni ed Enel forse farebbero bene a rispolverare il vecchio progetto di fondersi per evitare di passare tra breve da predatori a prede. In fondo il nome, nonostante le smentite di rito, ci sarebbe già: Ene. Certo, sorgerebbero vincoli antitrust. Ma in fondo, se ben studiata, l'operazione potrebbe andare in porto anche con notevoli giovamenti economici. La stessa Eni trova non poche difficoltà a chiudere l'accordo con la russa Gazprom. Ma chiedere all'impero degli zar di diventare in fretta capitalisti e liberali sarebbe troppo. Non però così per la Spagna. L'operazione su Endesa è lampante, anche se il finale diverso. La tedesca e.On ha dovuto sudare non poco per portare a termine l'operazione superando la concorrenza in terra iberica. Insomma, il comune denominatore della liberale europa è quello di essere protezionista. Alzare barriere e difendere l'identità a qualunque costo. Francia, Germania o Spagna che sia, non si può parlare di barriere protezionistiche tra gli Stati dell'Unione. Una cosa è considerare l'ipotesi di misure difensive contro concorrenze palesemente sleali quali quella cinese. Altro è invece tutelare gli interessi nazionali a danno del mercato. Bene allora tutelare i anche i nostri settori strategici, avere organismi di controllo ma senza intervenire con la mano nemmeno troppo invisibile dello Stato. Peccato che questa mano in Italia sia sempre più lunga e sempre orientata verso alcune direzioni. Meglio avviare un processo di privatizzazioni, aprirsi all'esterno e consentire alle aziende di trovare altri mercati. Senza punizioni interne. E' già difficile combattere ad armi non pari. Figurarsi con addosso il peso della ritorsione.

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