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di GIUSEPPE PENNISI Adesso ognuno è più povero.

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da un altro, ci vuole qualche giorno (time lag , in gergo tecnico) perché le piazze assimilino la reazione del Governo al monito delle agenzie di rating. La metabolizzazione è mostrata, con dovizia di dati, in un saggio di Antonio di Cesare della Banca d'Italia pubblicato su Economic Notes. Che gli effetti su famiglie ed imprese delle classificazioni delle agenzie di rating siano anche maggiori di quelli delle mosse delle Banche centrali è provato da uno vasto studio (il Discussion Paper n. 656) dell'Istituto di ricerca economica e sociale della Università di Osaka, le cui conclusioni (relative al Giappone) possono venire generalizzate. Soffermiamoci sulle implicazioni per le famiglie. Il ribasso della classificazione agisce in due modi: sui flussi di cassa (ossia su quanto si ha ogni anno per sbarcare il lunario) e sullo stock di ricchezza (ossia su quanto si è riusciti a risparmiare per la vecchiaia, per i figli, per tempi di vacche magre). Sui flussi di casa opera tramite un aumento dei tassi d'interesse: diventa più caro stipulare un mutuo, finanziare un impresa, creare lavoro per sé e per gli altri. Sullo stock diminuisce il valore dei titoli di Stato, specialmente di quelli acquistati quando i tassi erano bassi, rasoterra. Tutti più poveri, ma non tutti allo stesso modo. Un manifesto di Rifondazione Comunista (asse portante del Governo) sostiene che è giunto il momento di fare "piangere" i ricchi. Non cade sui ricchi, però, la scure del ribasso della classificazione. Dati della Banca d'Italia alla mano, dal 1995 al 2004 il peso dei titoli di Stato nella ricchezza finanziaria complessiva delle famiglie è passato dal 23% al 7% del totale. E' sui detentori di questo 7% che incide la riclassificazione: si tratta di famiglie a reddito inferiore a 40.000 euro l'anno che collocano in titoli di Stato quel poco che riescono a risparmiare. Le altre famiglie, specialmente quelle ad alto reddito e con cospicua ricchezze, hanno "una gestione attiva, diversificata ed efficiente" dei propri portafogli. Di chi la responsabilità dell'abbassamento della classificazione? Venti anni circa in Banca mondiale e successivamente alcuni anni a stretto contatto con le agenzie di rating (quando ho collaborato allo studio su come risolvere il debito dei Paesi in via di sviluppo) mi hanno fatto apprendere che esse guardano al futuro- alle politiche economiche annunciate ed alla loro probabilità di attuazione. Le motivazioni del verdetto di Standard & Poor sono espresse a tutto tondo. Allo stato dei fatti sorge spontanea una domanda. Cosa bisognerebbe fare? Modificare la finanziaria in discussione in Parlamento. Si dovrebbero prevedere risparmi in materia di previdenza (attuare dal primo gennaio 2007 un sistema misto di calcolo "proquota", in base agli anni di iscrizione, e l'aggiornamento dei "coefficienti di trasformazione" in linea con l'allungamento della aspettativa di vita), nonché di spese degli enti locali (premialità per incoraggiare l'e-procurement , e pagare meno per acquisti di beni e servizi, per promuovere dismissioni del patrimonio immobiliare e delle partecipazioni in aziende). Maggior rigore, poi, nella spesa sanitaria (ossia commissariamento di chi sgarra invece di sanatorie). Grazie a tali risparmi sarebbe fattibile diminuire il carico tributario incrementale, azzerare il peculiare prestito forzoso del tfr all'Inps, rimettere in soffitta le imposte di successione e resterebbe qualche spicciolo per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego (le cui famiglie sono le più colpite dal declassamento). Conteggi, anche preliminari, dicono che ciò è fattibile. Ma probabilmente richiede una differente maggioranza in Parlamento.

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