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Il Senato ha già iniziato a smontare la Manovra

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Numeri risicati a Palazzo Madama L'iter parlamentare della legge è già in salita

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Ne è convinto il premier Romano Prodi che ieri, concludendo la sua conferenza stampa milanese, rispondeva così ai giornalisti che provavano a provocarlo. A giudicare dai commenti che arrivano dall'interno della maggioranza, però, quello del Professore sembra essere un eccesso di ottimismo. Il Parlamento, piuttosto, sembra essere già pronto a «smontare» una Manovra che, come ha detto ieri il segretario del Pdci Oliviero Diliberto, è fatta di «luci e ombre». Soprattutto al Senato, dove la maggioranza non gode certo di «ottima salute», l'aria che si respira non è buona. Basta riprendere le dichiarazioni di sabato del presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama Lamberto Dini. «Nella Finanziaria ci sono troppe tasse - aveva detto l'ex premier -. Pochi i tagli alla spesa pubblica». Parole dure che arrivano da un esponente di spicco della Margherita e che non rassicurano certo la maggioranza. Anche perché Dini sembra non essere solo. L'ex ministro del Lavoro Tiziano Treu (che casualmente ha ricoperto questo incarico per la prima volta proprio nel governo Dini), ad esempio, pur esprimendo un giudizio «sostanzialmente positivo» sulla Finanziaria, si augura che «possano esserci delle modifiche in Parlamento» e ricorda «l'invito del presidente Marini a cercare il dialogo». Idea condivisa dal presidente dei senatori dell'Idv Nello Formisano che parla di «un provvedimento migliorabile in Parlamento, con il contributo di tutte le forze politiche». Insomma, l'idea che la Manovra, dopo aver ricevuto un ulteriore limatura a Montecitorio, possa essere blindata al Senato, non piace. Al punto che il presidente della Commissione Difesa del Senato Sergio De Gregorio ha già lanciato il suo avvertimento: «Le Forze armate escono malissimo dalla Finanziaria; tra un pò non avranno nemmeno più i soldi per il carburante. Per difenderle sono disposto a fare le barricate in Senato e non escludo di non votare la fiducia, se fosse posta». Come se non bastasse, agli avvertimenti dei senatori, si uniscono i malumori di numerosi partiti della maggioranza che sono già pronti a rimettere in discussione nelle aule parlamentari, il compromesso uscito dal Consiglio dei Ministri. Così, il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio ieri ha parlato di «un sì condizionato». «È assurdo - ha detto - essere costretto a minacciare di non votare una Finanziaria per ottenere quello che nei patti e nel programma era stato già previsto». «Il problema - ha continuato - è che ognuno di noi ha visto la Finanziaria per la sua parte di competenza e per grandi meccanismi, sanità, pubblico impiego ecc. Però è ovvio che adesso bisogna fare una lotta in Parlamento. Bisogna trovare il coraggio di ridurre il cuneo e aumentare i finanziamenti all'ambiente, ai giovani e all'innovazione». Anche la Rosa nel Pugno non è soddisfatta dalla Manovra. Per il segretario dei Radicali Daniele Capezzone, infatti, «nel Dpef c'era l'impegno ad agire in modo strutturale sul versante della spesa pubblica. Invece, capovolgendo l'impostazione approvata dal Parlamento il Governo ha puntato sulle tasse. È un errore da correggere, a mio avviso». Analisi condivisa dal segretario dello Sdi Enrico Boselli che ha denunciato le «troppe concessioni» che il Governo ha fatto al «populismo di Rifondazione». E proprio da Rifondazione arriva una scaletta di correzioni necessarie. «La manovra - ha spiegato ieri il capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena - potrà comunque essere ulteriormente migliorata, in particolare per quanto riguarda i fondi per il piano casa, nel corso del lungo passaggio parlamentare, recependo i segnali delle organizzazioni sociali: dei sindacati, dell'associazionismo e degli enti locali». La partita, insomma, è appena cominciata.

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