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È il sei agosto 2005 quando Silvio Berlusconi lancia l'allarme da Porto Rotondo mentre sui giornali impazza lo scandalo dei contenuti delle telefonate di Ricucci e soci. Tre giorni prima erano saltate fuori quelle che riguardavano anche Antonio Fazio, seppur non fosse nemmeno indagato e l'Unione (ad eccezione di Bertinotti e Udeur) era andata all'attacco chiedendo le dimissioni del Governatore: «Smentisca o se ne vada», è il coro. Berlusconi sbotta: «Io sto mettendo mano, nel senso vero del termine, di mio pugno, a un ddl per restringere in maniera molto forte la possibilità per chiunque di effettuare intercettazioni telefoniche. Presenterò un disegno di legge nella prima seduta del Consiglio dei ministri per punire con pene gravi una costante violazione delle persone con le intercettazioni telefoniche, non vietarle se non nel caso della lotta contro mafia e terrorismo. Per tutto il resto - aggiunge il premier - pene severe dai 5 e 10 anni per chi le diffonde e per chi le pubblica». «Tutto questo - dice ancora Berlusconi - è assolutamente inaccettabile, siamo in un paese civile, non possiamo leggere sul giornale ciò che una signora dice al fidanzato o a suo marito come è successo in questi giorni. Sono assolutamente indignato». Apriti cielo. «Vuole bloccare la magistratura», replica il centrosinistra, un anno fa all'opposizione. «Come al solito - tuona Di Pietro - la tendenza è quella di spegnere lo scandalo invece che armarsi per sconfiggere le condizioni che lo scandalo l'hanno creato». E aggiunge: «Il premier non trova di meglio che tagliare ancora le ali a coloro che fanno le indagini, in modo da rendere sempre più difficile, se non impossibile, trovare i colpevoli». Pecoraro Scanio: «Berlusconi è ossessionato dai giudici». Categorico Fassino: «Sconsiglio al premier di scrivere di suo pugno la legge, il Parlamento ha tutta la competenza e la professionalità per occuparsene». «Il governo va avanti nel disegno di restringere il potere di intervento della magistratura», rincara la dose Diliberto. Gli fa eco Brutti: «Le proposte del premier? Incongrue e inaccettabili». Il 2 settembre Berlusconi parla della possibilità di un decreto. Giulietti (Ds) e Cento (Verdi) giudicano «irricevibile» l'iniziativa e parlano di «norme bavaglio per i giornalisti». Anche il Quirinale (dove siedeva un altro inquilino, Carlo Azeglio Ciampi) fa sapere di non gradire la procedura d'urgenza con il decreto (che invece ieri è stato approvato dal governo, ma al Quirinale c'è Giorgio Napolitano) e spinge per il disegno di legge che non è immediatamente esecutivo. E si arenerà nelle secche del Senato senza mai più rivedere la luce. Anche se va rilevato che nel testo approvato ieri, rispetto all'ipotesi berlusconiana, non sono previsti limiti alle intercettazioni da parte dei pm, mentre c'è uno stop alla divulgazione che pure c'era nel testo del vecchio governo. F. D. O.

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