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Iniziativa della provincia di Chieti per promuovere i centri all'impiego

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«Il lavoro rende liberi», il presidente Dl inciampa sullo slogan di Auschwitz

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Il guaio è che il presidente e senatore margheritino Tommaso Coletti ora rischia di pagare con la sua faccia. Cerca lo slogan a effetto, inciampa in una gaffe e si avvita in una manifestazione parabolica di ignoranza, di quelle che non fanno neanche sorridere. Il messaggio parte così: «Il lavoro rende liberi. Non ricordo dove lessi questa frase, ma fu una di quelle citazioni che ti fulminano all'istante perché raccontano un'immensa verità». Se qualcuno avesse voluto scherzarci sopra non avrebbe trovato parole migliori. «Il lavoro rende liberi» è la traduzione italiana di «Arbeit macht Frei», la scritta che campeggiava all'ingresso dei campi nazisti, quelli con le mura circondate da filo spinato elettrificato, su cui sono rimasti fulminati i prigionieri che cercavano la fuga. Aperto con questa chiave l'intero messaggio si apre ad una serie infinita di doppi sensi, che suscitano prima ilarità, e poi imbarazzo. Ripensando al dolore che quella frase porta con sé, in verità, da ridere c'è veramente poco. Magari, sarebbe più sincero arrossire. Ma il presidente Coletti, che pure è persona normalmente simpatica e alla mano, stavolta si stranisce, non gradisce la divulgazione della notizia e si lancia in una spiegazione filosofica del suo scritto che suona così: «Le parole hanno un significato in senso assoluto e non in relazione a chi le adopera. Mi dispiace non aver tenuto conto che quelle parole sono state poste con ironia da un dittatore sulla porta di un campo di concentramento. Tutto questo, però - afferma - non può mettere in dubbio il fatto che il lavoro rende liberi: questa frase - ripete - racconta un'immensa verità. L'ho pensata e pronunciata per il suo significato e per il grande valore che racchiude in sè. Qualcuno davvero pensa che il lavoro non liberi l'uomo dal bisogno? Lo dicesse! Le parole hanno un significato oggettivo e vanno al di là di chi le pronuncia, sennò tutto sarebbe opinabile». Peccato che, dall'alto di tanta filosofia, Coletti abbia completamente cancellato il valore della storia, di quegli appuntamenti «per non dimenticare» che anche la Provincia di Chieti ogni anno organizza. Peccato che, nonostante si ostini a voler far diffondere l'opuscolo, incassi le rampogne dei suoi colleghi di coalizione. «Coletti farebbe bene a scusarsi con i parenti degli internati nel lager di Auschwitz che vi entrarono vivi e ne uscirono in cenere», afferma Lele Fiano, parlamentare dell'Ulivo. Un «episodio increscioso - ha detto - e che denota ignoranza che un così alto rappresentante istituzionale non dovrebbe avere sulla storia del Paese e dell' Europa del secolo scorso». E aggiunge che «ancora più grave è la giustificazione» che è stata data all' inserimento di quella frase. «Mi pare che quella frase simbolo della schiavitù del popolo ebraico nel secolo scorso non si possa utilizzare oggi dandole un'immagine salvifica per la soluzione del problema della disoccupazione di oggi. Significa fare scempio della storia». Marco Lion, deputato e responsabile Comunicazione dei Verdi, chiede che il materiale venga immediatamente ritirato.

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