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Il ricordo di Pietro Ingrao

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«Quel giorno Togliatti brindò con un bicchiere di vino»

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Che sia stato un buon lavoro lo conferma il fatto che di tanto in tanto RadioRai lo trasmette ancora solo riducendo di numero le puntate e intitolandole: «Il meglio di La nostra Repubblica». Come si dice talvolta quello del giornalista è un mestiere dove «chi cerca trova», e non furono poche le novità, se vogliamo gli scoop di quella trasmissione, come quando Giulio Andreotti mi dichiarò che a suo parere Alcide De Gasperi, «anche se non me lo disse mai», aveva votato per la Repubblica. Da qui una domanda successiva: per chi aveva votato Andreotti? Risposta: «Io votai per la monarchia. Mi dissi: visto che c'è un nuovo re (Umberto II ndr) proviamolo». Ovvio che via via, nel narrare la storia , le vicissitudini di questa nostra Repubblica, si dovesse arrivare al 1956, l'anno della rivolta di Poznan in Polonia , del rapporto ancora segreto di Nikita Kruscev sui delitti di Stalin al 20° Congresso del Pc sovietico, e naturalmente della rivolta di Budapest e della dura repressione operata dall'Armata Rossa. Tutti fatti che non potevano non avere delle ripercussioni in una Italia che contava - incredibile contraddizione - il più forte partito comunista del mondo occidentale. Dovevamo parlarne e raccogliere delle testimonianze e delle opinioni, anche fra chi in quel 1956 sedeva al vertice del Pci. Ma chi sentire? Ne discutemmo a lungo in redazione e infine venne fuori un nome, quello di Pietro Ingrao. Naturale che fosse poi necessario dargli piena libertà di parola, qualunque cosa avesse in animo di dire. E credo che la sua testimonianza non fu priva di interesse. Dunque: i sovietici invadono nuovamente l'Ungheria. E la invadono dopo avere promesso di ritirarsi. Ingrao ci racconta di avere chiesto un incontro con Palmiro Togliatti per farlo partecipe della sua indignazione. Ma Togliatti non si scompone. Come risponde ad Ingrao: «No, perché ? Io oggi ho bevuto un bicchiere di vino in più», si intende per festeggiare la repressione operata dai sovietici. Nel commento di Ingrao di tanti anni dopo (sempre per quella nostra trasmissione): «Io rimasi dolorosamente colpito da quelle parole le giudicai come una cosa brutta, per niente consona alla tragedia che l'Ungheria stava vivendo». Di questa indignazione tuttavia non si trova traccia sull'Unità del 1956, di cui Ingrao era il direttore. Pare al contrario che sia stato lui a censurare le corrispondenze da Budapest di Alberto Jacoviello, comunista, certo, ma giornalista di livello, e critico pertanto nei confronti dell'intervento sovietico. Jacoviello mi confidò un giorno di avere protestato per quella operazione censoria. Ricevendo da Ingrao questa risposta: «Il partito altrimenti rischiava di andare allo sfascio». Perché quello era il Pci di allora. La propria angoscia bisognava tenersela racchiusa dentro, e adeguarsi in pubblico alle posizioni togliattiane. Oppure andarsene e venire bollato come un traditore. Un coraggio che fu di pochi. Raf. Ub.

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