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Colaninno: «Le istituzioni puntino sul sistema Italia»

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«Noi italiani abbiamo la specialità di sottovalutarci. Non riusciamo a comprendere quanto il nostro modo di vivere, la nostra storia, i nostri prodotti siano amati in tutto il mondo». Il presidente della Piaggio, quello che attualmente potrebbe essere chiamato il «re della motoretta», per via della Vespa e dell'Aprilia, aggiunge che c'è un sistema Italia che «non viene valorizzato». Al Meeting di Rimini va in scena un incontro fra tre personaggi, tre protagonisti dell'economia italiana che spesso passano «sotto traccia». Il titolo del dibattito è: «Il mercato non finisce al Brennero». Il moderatore è uno specialista dell'internazionalizzazione delle piccole e medie aziende italiane, Sandro Bicocchi, vicepresidente della Compagnia delle Opere e consigliere della Camera di commercio di Milano. Ma i tre personaggi sembrano autentici «capitani di impresa» di un'Italia che non ha paura della globalizzazione, del mercato aperto, dell'abbattimento di tutte le frontiere e di tutti i dazi. Prima Colaninno, ma anche il «re del caffè», Andrea Illy, e il «re del risotto», Mario Preve sembrano appartenere a un'altra Italia, a quella che non chiede protezioni, che non teme la concorrenza internazionale, ma anzi vede «in questo momento storico un'occasione irripetibile», per potenzialità di mercato, per numeri di produzione. Roberto Colaninno parla della California «dove si cerca la motoretta italiana, a tutti i costi». Illy lavora in 130 paesi, puntando sulla qualità di un prodotto come «l'espresso» che non è certo indispensabile nella dieta degli uomini. Mario Preve è nato in Argentina ma è un genovese che sta festeggiando i 150 anni della sua azienda (sesta generazione), ed è riuscito a vendere il riso ai cinesi, la stessa cosa, più o meno, che «portare una granita in Alaska» oppure un «termosifone nel Sahara». I tre raccontano la loro esperienza, la loro storia aziendale e ne viene fuori veramente un'altra Italia, non quella della «grande industria» che si è sempre barricata dietro alle protezioni statali, non quella della borghesia fustigata da Enrico Cuccia e Raffaele Mattioli, ma l'Italia dei nuovi imprenditori che rischiano affrontando il mondo, il mercato del mondo allargato, quello del «big village». C'è capacità imprenditoriale, quella del rischio in questi personaggi. C'è la forza di una tradizione, la voglia di un'affermazione sociale, ma soprattutto la grande fiducia nell'Italia come «sistema Paese» che, dal dopoguerra, stando alle parole di Colaninno, «è riuscita a svilupparsi e a risolvere i problemi di una società di molte delle società in crescita». Non ci si spaventa quindi di fronte ai cinesi e agli indiani: «Stanno facendo i passaggi che noi abbiamo già fatto. Arriveranno inevitabilmente ad affrontare i nodi sociali e ambientali di tutte le società industrializzate. Ma sono loro, ce lo dicono che hanno bisogno di tutta la nostra storia, di tutta la nostra tradizione. Quale Brennero quindi? Nessuno. Basterebbe che la politica favorisse il sistema Italia, propagandasse meglio il nostro stile di vita che è invidiato e apprezzato in tutto il mondo». Come è riuscito Mario Preve a vendere riso ai cinesi? Lui risponde con disarmante tranquillità: «A una fiera di Pechino c'era una stand libero, tra quello dell'olio d'oliva e quello del formaggio. I cinesi conoscevano il riso e hanno cominciato a guadare i nostri risotti preconfezionati. Alla fine ha dovuto intervenire la polizia per contenere la calca della folla al nostro stand». Casualità o fortuna? Un po' l'una e un po' l'altra, ma certamente la passione di fare impresa e tanto merketing, tanta cultura d'impresa moderna. Ogni giorno sono sei milioni le tazzine di caffè Illy che vengono bevute. È un'Italia incredibile quella che si presenta. Un potere politico che non ama l'impresa, con quattro milioni di piccoli imprenditori. Una Costituzione che non conosce la parola mercato e alcuni italiani vendono in tutto il mondo. Una classe dirigente pronta a soffocare con l'arma del fisco una realtà che produce ricc

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