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Fisco e dintorni

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Quel «complesso dei migliori» che sta a sinistra

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Deve essere questo l'identikit dell'elettore di centro-destra rimasto scolpito nella testa di Romano Prodi. Quando il presidente del consiglio batte sul tasto della lotta all'evasione, infatti, sembra avere in mente un tipo umano preciso, un evasore con silhoutte berlusconiana, professionista col portafoglio imbottito e commercialista lesto, che spende e spande non senza arroganza quanto, altrimenti, spetterebbe al fisco. Da una parte, la sinistra italiana non riesce a superare quel «complesso dei migliori» che ne fa non una parte politica, ma una sorta di categoria antropologica. La sinistra pensa se stessa come alternativa al «degrado morale» genericamente associato a quello che in Italia è l'unico «vestito ideologico» della società dei consumi: il berlusconismo. In questa narrazione, a fare la differenza fra destra e sinistra è pagare le tasse, parcheggiare negli spazi blu, mangiare con le posate. C'è un pezzo d'Italia che si sa educata e perbene, e vorrebbe infliggere a tutti ripetizioni di galateo. Dall'altra, vi è un approccio ai problemi di finanza pubblica che discende proprio da questo atteggiamento intellettualmente spocchiosetto. La «vocazione a evadere» dei contribuenti, è letta non come il risultato di qualche ingranaggio che non s'incastra come dovrebbe, in una più vasta catena di incentivi e disincentivi. Ma come il risultato di una «rozzezza», - se non di una malvagità di fondo. «Le cosa stanno un po' diversamente. Si evade quando il costo di pagare le imposte è superiore ai costi dell'evitarle. In altre parole, i commercialisti in Italia sono infitamente più economici del ligio obbedire alla legge. La normativa è complessa e mantiene in vita un'intera casta di professionisti deputati a decifrarla o aggirarla. Le aliquote sono troppo alte, e colpiscono proprio chi più produce e intraprende. Che si difende come può. Dichiarando guerra a queste persone il governo mette a rischio il futuro, già ombroso, della nostra economia. E non otterrà risultati. Costringendoci a pagare con assegni e carte di credito produrrà una moltiplicazione del «nero», con transazioni sottobanco e in contante. L'ossessione dei controlli seminerà paura, sortirà magari qualche esito immediato ma, nel lungo periodo, non si può costruire alcuna «virtù fiscale» sulla minaccia e sul terrore. Specialmente in un Paese dove il motto nazionale è «fatta la legge trovato l'inganno». D'altrocanto, anche la misera potatura delle aliquote soffertamente conseguita dal governo Berlusconi ha dimostrato che tasse più basse portano entrate maggiori, in cassa allo Stato. Una politica fiscale responsabile è fatta di carote. Non solo di bastone.

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