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di GIANNI DI CAPUA L'ITALIA parteciperà al contingente Onu per la pace in Libano.

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Partiranno in tremila. No, tremilacinquecento. Anzi, no: di meno. Di più. Nessuno, non ci sono soldi. Anche stavolta Prodi s'è trovato in mezzo alle mille divisioni del centrosinistra. E soprattutto alle prese di posizioni tra le più discutibili. Come Rifondazione comunista che chiede addirittura una sorta di «permesso» ad Hezbollah per intervenire. Il nodo più complicato, tuttavia, resta quello delle «regole d'ingaggio». Insomma, i soldati italiani che dovrebbero essere inviati in Libano, potranno sparare o no? Che mandato avranno? Avranno la possibilità solo di autodifendersi (rispondere col fuoco se attaccati col fuoco) o potranno attaccare, offendere? Ruotano attorno a questi interrogativi tutti i dubbi e le perplessità della maggioranza. Perché l'ala pacifista della sinistra potrebbe dare il via libera alla missione solo se questa sarà effettivamente di pace. Rifondazione dice che il contingente italiano deve essere «esclusivamente impegnato in una missione di peace-keeping, vale a dire di interposizione pacifica a protezione delle popolazioni in primo luogo e dei confini». Mentre i dissidenti di Rifondazione fanno sapere che non li convince l'ipotesi di inviare militari italiani. E anche i Verdi mettono in chiaro che daranno l'ok solo se sarà una «missione di pace». In questo quadro, Prodi è costretto a intervenire a più riprese. Prima per comunicare che stasera sietrrà un vertice con i ministri degli Esteri D'Alema e della Difesa Parisi. Poi per spiegare che «nulla è stato stabilito» su quantità e tipologie dell'intervento italiano. Infine, il presidente del Consiglio apre bocca in prima persona e spiega la linea del governo. Prima in una dichiarazione congiunta con Massimo D'Alema, il premier esprime «l'interesse italiano a partecipare fin dall'inizio alle consultazioni che verranno avviate nei prossimi giorni per determinarne la composizione, l'articolazione e il mandato». In soccorso (dopo un lungo colloquio) arriva il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano per il quale «l'Italia non può sottrarsi alla responsabilità di dare il suo contributo a una missione tanto auspicata e così necessaria». E per oggi l'ha convocato a Castelporziano. Poi, da Castiglion della Pescaia, lo stesso Prodi annuncia: «Credo proprio che noi siamo pronti naturalmente, prima di dare il via alla missione, bisogna che tutto sia chiaro». Ma non sa quanti soldati partiranno. «Ancora non si può definire - afferma Prodi - perché sappiamo solo che dovrà essere costituito da 15 mila uomini in tutto. Non sappiamo neppure quale sarà il numero dei paesi impegnati e poi, ripeto, attendiamo il via libera sia da parte di Israele che da parte del Libano». Le indiscrezioni che giungono da New York parlano chiaro: l'Onu non andrà da osservatore. Seppur non ci sia un esplicito richiamo al capitolo 7 (ovvero l'uso diretto della forza), al contigente sarà dato un mandato che i diplomatici considerano «forte e ampio». Indiscrezioni che hanno allertato la maggioranza e per questo lo stesso premier deve spiegare: «Le regole d'ingaggio per la missione italiana in Medio Oriente verranno decise dagli accordi che ci saranno nei prossimi giorni». In ogni caso «dev'essere chiaro che si tratta di missioni chiaramente di pace». Secondo il presidente del Consiglio, se l'Onu avesse approvato la risoluzione quindici giorni prima, sarebbe stato meglio: «Ma in questa fase è la soluzione migliore che si potesse dare al problema del Medio Oriente». «Naturalmente è chiaro - dice ancora il premier - che le decisioni saranno prese in perfetta concordia con tutti gli altri paesi partecipanti alla missione. Per ora sappiamo solo della disponibilità dichiarata da Francia, Spagna e Italia. Ci sono rapporti aperti con la Turchia, la Malesia e l'Indonesia per avere la partecipazione anche di paesi musulmani. La Germania, come è noto, appoggia l'iniziativa ma ha difficoltà a mandare militari sul campo».

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