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«Con la stangata sul lusso 25 milioni di euro»

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Tra un po' invece di dire "sporco negro" si dirà "sporco ricco": due modi vergognosi di esprimere concetti offensivi, qualunquistici, discriminatori e sostanzialmente inutili». Tuona Marta Marzotto dalla «sua» Costa Smeralda. E il pronome di possesso non è da riferire a una sua vanagloriosa acquisizione di proprietà del territorio italiano, bensì a un sincero anelito di amore verso l'angolo di un'isola che conosce da 45 anni, ancor prima che l'Aga Khan decidesse di dare un nome «smeraldo» a quella Costa che il popolo sardo non aveva ancora inteso sfruttare turisticamente. Come giudica la «tassa sul lusso» del governatore della Sardegna? «Un atteggiamento sballato, pretenzioso e pretestuoso, frutto di un populismo di bassa lega, di una demagogia fine a se stessa perché improduttiva». Ci spiega perché la proposta di Soru fa acqua sul piano ideologico? «Innanzitutto perché il lusso non è cosa della quale vergognarsi, come accadeva in passato: oggi è una griffe, è un logo. E il "lusso", sotto forma di alta moda, arredamenti, calzature, oggettistica, è una delle poche cose che l'Italia esporta con grande successo in tutto il mondo: contrastare il commercio della qualità è un grave errore che hanno pagato tutti i regimi comunisti. Le sperequazioni sociali sono sempre esistite e sempre esisteranno, ma si dimentica forse che chi è diventato ricco ha rischiato enormemente, ha lavorato un po' di più e dormito un po' di meno. Come si fa a trascurare, poi, l'indotto che anche una barca, tanto per fare un esempio, può portare con sé, tra equipaggio e servizi a terra (lavanderia, approvvigionamenti alimentari e di carburante, ristorazione, shopping, manutenzione del natante etc.)». E sul piano pratico, dove sta il fallimento dell'iniziativa? «Innanzitutto nella sua incostituzionalità. Poi perché sarebbe difficile, per non dire impossibile, riscuotere questi soldi. Non esistono parametri di riferimento né modalità. Molto più semplice e realmente democratica sarebbe la soluzione della tassa di soggiorno, facilmente esigibile (in Sardegna non esistono "portoghesi") perché si arriva con i traghetti, con gli aliscafi o in aereo: quindi, ancor prima di metter piede e terra è possibile chiedere una modesta somma, una tantum, uguale per tutti». Sappiamo che lei ha scritto una lettera a Soru: cosa gli dice? «Quanto fin qui riferito nell'intervista e una traduzione pratica, dal punto di vista economico: considerando che ogni anno visitano la Sardegna due milioni e mezzo di turisti, applicando una tassa di soggiorno di 10 euro a persona entrerebbero, automaticamente, nelle casse regionali 25 milioni di euro. Per giunta, la "tassa sul lusso" non va a colpire il ricco che resta ricco bensì quella media borghesia che già paga tasse sufficienti allo Stato per il solo piacere di avere una casa in più in Sardegna, arredarla con i suoi mobili, fare la spesa nei suoi supermercati. Sono uomini e donne che si sono innamorati di quest'isola venendoci magari in campeggio e che oggi hanno appena coronato un sogno per la propria famiglia. Se questa è democrazia...». A parte il «balzello-Soru», cosa trova profondamente sbagliato nella gestione della promozione turistica sarda? «Il fatto che ci sia una sola compagnia aerea che collega l'isola all'Italia. In tempi di deregulation è assurdo che ci siano ancora monopoli nel trasporto aereo. Si perdono così occasioni storiche per il benessere economico della Sardegna e dell'Italia tutta».

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