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In assemblea nella Capitale

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E gli «alfieri della pace» della sinistra dichiarano guerra alle parole

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La maggioranza della maggioranza spera che siano solo parole. «Guerra alla guerra», «ribellarsi è giusto», parole vecchie e parole nuove, espressioni antiche e neologismi. Così è trascorsa la mattinata di ieri all'assemblea dei pacifisti ribelli in una guerra delle parole. Si sa le parole sono importanti, a volte più dei fatti. E infatti Beppe Grillo al telefono in collegamento con l'assemblea dei pacifisti denuncia «il furto di parole»: «C'hanno detto che andavano in Afghanistan a costruire la pace e invece hanno portato i carri armati», lucciole per lanterne. Con il suo blog promette combatterà la «guerra dell'informazione», insomma delle parole. Dario Fo interviene e va giù pesante, dalle parole ai fatti: «Mi fa venire il vomito chi vuole la guerra». Gino Strada in collegamento da Kabul va piatto: «La guerra è la conseguenza del servilismo della classe dirigente italiana agli americani». E giù applausi. Si sa in certe situazioni vince chi la spara più grossa. Bernocchi il leader dei Cobas cerca i suoi distinguo, lui è contro la guerra però ammette: «Io più che altro mi definirei pacifico più che pacifista». I suoi ribelli preferiti sono quelli con il fucile in mano e infatti chiede sostegno alla «Resistenza irachena e a quella afgana», cioè a terroristi e talebani. Salvatore Cannavò attacca quelli che sono «per la riduzione del danno», la guerra è questione troppo importante per barattarla con un posto in Parlamento. «Perché la guerra c'è o non c'è, non ci sono sfumature» dice sempre Cannavò. All'assemblea dei pacifisti, tra i ribelli che ancora cercano la mediazione la vecchia espressione «equilibri più avanzati», riportata in auge da Bertinotti, è diventata molto popolare. Tra quelli che invece non ne vogliono sapere e sono pacifisti «senza se e senza ma» va alla grande prendersela con il «malepeggismo», contro quelli che evocano come alternativa alla crisi il voto alla missione come il male minore. Parole inventate, parole aggiunte. Cesare Salvi dice non è che «l'art. 11 della Costituzione dice che l'Italia ripudia la guerra a meno che non lo vogliano l'Onu e la Nato». Se è la guerra delle parole, i nemici sono i pacifisti solo a parole. Casarini mette in guardia: «Non ne voglio più sapere di pacifisti che votano sì alla missione di guerra e poi vanno dicendo che non vogliono le frecce tricolori». Ovunque si deve parlare la lingua della pace, il leader della Fiom Cremaschi ne è convinto: «Ha diritto a stare in Parlamento la posizione dei pacifisti senza se e senza ma». Prodi punta sulla parola compromesso. Sil. San.

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