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Moffa: «La destra ora ascolti il territorio»

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O anche a nuovi soggetti. Ma io preferisco porre la questione in modo diverso. Penso che dobbiamo aprirci anche a nuovi diritti». Silvano Moffa è uno degli esponenti di An che è più in sintonia con Fini. Soprattutto negli ultimi tempi. E prova a spiegare la svolta del presidente di Alleanza nazionale, il «ripensamento» del partito. In che direzione andrà. Verso le categorie, artigiani e commercianti, come suggerisce Altero Matteoli? O una destra più forte in una coalizione più forte, senza condizionamenti dall'esterno, come sostiene Maurizio Gasparri? Moffa, che è stato sindaco di Colleferro e presidente della Provincia di Roma, preferisce prendere un'altra via. Aprirsi all'esterno, ma a nuove fasce sociali. Onorevole, che cosa vuol dire «aprirsi a nuovi diritti»? «Significa che è necessario che Alleanza nazionale spinga fortemente verso un sempre maggiore radicamento sul territorio. Radicamento significa anche analizzare, leggere, studiare i cambiamenti della società». E finora non è accaduto? «Penso di no. Abbiamo affrontato la scorsa campagna elettorale con la convinzione di aver perso, di andare incontro a una batosta». Anche lei? Che viene proprio da una delle province in cui la Cdl ha registrato una delle migliori performance? «Infatti avvertivo che la situazione era ben diversa da come veniva descritta. Ma in generale tutto il partito lo ha capito solo a quindici giorni dal voto. E non riusciamo più ad interpretare il territorio, vuol dire che qualcosa non ha funzionato». E che cosa? «È necessario che il partito torni a immergersi sul territorio, comprendendo le evoluzioni che si sono compiute». Ma che destra immagina per il futuro? «Dobbiamo uscire dalle gabbie del dibattito nel quale ci siamo rinchiusi. Non capisco per esempio tutta questa discussione sulla destra se è cattolica o laica, se è guelfa o ghibellina. Mi sembra un modo di distinguere francamente - è il caso di dirlo - medioevale. Io sono cattolico, ma anche la Chiesa si limita a dare delle indicazioni, non a dettare la linea ai partiti». Arriverà una nuova svolta laicista? «Nessuna svolta. Ma non possiamo nemmeno non renderci conto che il Paese è cambiato, è andato avanti. Ci sono diritti che attendono di essere rappresentati». Sta pensando ai pacs? «Sto pensando alle coppie di fatto. Non si tratta di creare nuove forme di famiglia. Si tratta di rendersi conto che esistono anche altre forme di unione, come, appunto, le coppie di fatto». Anche nell'elettorato di An? «Ma non c'è dubbio. Conosciamo i nostri e posso dire che certamente non possiamo rimanere dietro». Ma non teme che il suo sia un discorso più da ex sindaco, più da ex amministratore locale che da politico nazionale? «Magari. Dovremo essere più vicini al territorio che cambia. Di più, dovremo avviare una grande fase di ascolto proprio dei nostri amministratori locali. La nostra grande risorsa sono loro, sono i consiglieri comunali che forse troppo spesso non abbiamo ascoltato». Fini è forse il primo che si è chiuso troppo nel palazzo. «Fini ha fatto per cinque anni il vicepremier e poi anche il ministro degli Esteri. Ha ricominciato a tornare sul territorio in campagna elettorale, poi ha continuato in questi giorni e vedrete che siamo solo all'inizio». E dal territorio quali altre istanze possono arrivare? «Penso all'immigrazione e a nuove forme di integrazione». Per esempio? «Guardi, noi abbiamo assistito negli ultimi anni al confronto di due modelli. Quello inglese del multiculturalismo e quello francese, tipicamente assimilistico. Sono sostanzialmente falliti entrambi. Con la legge Bossi-Fini abbiamo superato entrambi i sistemi perché si è introdotto un principio fondamentale: può entrare e restare solo chi ha un lavoro». E che modello è? «È un modello realista, che parte proprio dall'analisi di ciò che che sta avvenendo sul territorio. E non a caso Sarkozy si è ispirato proprio alla soluzione Bossi-Fini. Anche per questo sarebbe ora invece di prendere a prestito modelli di destra dall'estero, pensassimo che anche

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