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L'ex sottosegretario di An: «Scontiamo l'incapacità di fare una politica alternativa a Veltroni»

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Secondo Silvano Moffa, già presidente della Provincia di Roma ed ex sottosegretario alle Infrastrutture, il centrodestra si perde proprio nei pochi chilometri che separano l'industrioso paese dell'hinterland romano dalla Capitale: «Quella che è emersa dalle scorse elezioni è la scarsa capacità della Casa delle libertà di incidere nelle aree metropolitane. Il nostro è un problema di cultura». Partiamo dalla Capitale. Come è andato il voto? «La partita era difficile e indubbiamente c'è stato un crollo di Forza Italia, ma al di là dei dei singoli abbiamo scontato un ritardo nel costruire una politica amministrativa alternativa a Veltroni». È questo il male del centrodestra alle amministrative? «Non riusciamo a intercettare i sentimenti che nascono in città e abbiamo una scarsa capacità di incidere in tutte le aree metropolitane del Paese, proprio dove vota un gran numero di elettori e dove si produce una buona fetta di Pil. Non abbiamo sviluppato un concetto di città policentrica, siamo intrappolati nello schema centro-periferia». Come se ne esce? «Dobbiamo evitare i luoghi comuni e smetterla di rimanere isolati dai segmenti attivi delle città: il mondo associativo, le categorie produttive, i giovani, il no-profit». Alemanno ieri ha auspicato «un laboratorio di comunicazione per veicolare le idee». «Ha ragione, ma credo che questo sia il momento per cercarle, le idee. E trovarle. Alemanno è stato bravo nella sua campagna però noi dobbiamo parlare sempre ai cittadini delle cose reali, mentre negli scorsi anni l'opposizione a Veltroni si è caratterizzata per un'eccessiva accondiscendenza». Si riferisce a qualche consigliere comunale in particolare? «L'opposizione va fatta sempre in maniera costruttiva, sennò è fine a se stessa, inconcludente. Comunque il mio non è un giudizio sulle persone, ma sulla capacità di farsi sentire». Pensa che per la Casa delle libertà sia venuta l'ora del partito unico? «Sono abbastanza convinto che noi dobbiamo lavorare nella direzione di una formazione unitaria. Ma è il percorso che non va sottovalutato». Cioè? «Secondo me, ed è quello che ho detto a Berlusconi, serve una Costituente del partito unitario che parta dal territorio. Il partito nuovo deve nascere dal basso con costituenti territoriali e sperimentazioni a livello locale nei Comuni». Ha in mente qualche appuntamento elettorale in particolare? «Tra due anni ci saranno le elezioni Provinciali di Roma, un'istituzione che tra quelle governate dal centrosinistra è la più debole. Per la Casa delle libertà quello potrebbe essere un appuntamento da non sottovalutare» Nella costruzione di un partito unitario il centrosinistra sembra più avanti di voi. Nascerà prima il Partito Democratico? «Non credo che i nostri avversari siaano più aventi, anzi direi che hanno più difficoltà. Ds e Margherita possono unirsi, ma al momento di dare un'identità comune al progetto politico tanti partiti dell'Unione resterebbero distanti». Queste elezioni le avete perse? «Sono state un campanello d'allarme per far capire a tutta la Casa delle libertà che c'è molto da lavorare. Il dato più importante del voto amministrativo riguarda la capacità di mobilitare i cittadini e l'intero centrodestra. E soprattutto per chi, davanti a questo governo, aveva immaginato scorciatoie per abbattere l'esecutivo di Prodi: credo che la nostra prima preoccupazione debba essere costruire non buttare giù». Ora vi resta il referendum confermativo per le modifiche alla Costituzione. La devolution rischia di essere la vostra ultima spiaggia. «Il referendum è un passaggio importante. Sarebbe un errore esaltarne la valenza politica. Non facciamone un'ultima spiaggia sennò rischiamo di non farci capire dagli italiani. E poi anche qui bisogna ricordare che, approvata o no la devolution, tutti i progetti sono perfettibili». Se la gente diserta le urne quando va scelto il sindaco figuriamoci per il referendum del 25 giugno. «Certo,

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