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di FABRIZIO DELL'OREFICE LA STRATEGIA di Romano Prodi oramai è chiara.

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Uno slogan per il Paese. Vivacchiare, andare avanti senza colpi d'ala, senza fantasia, senza colpi di genio. Procedere senza far arrabbiare alcuno, senza disturbare, a piccoli passi. S'era capito anche con la formazione del governo con una squadra che mette a posto tutti gli equilibri, non scontenta i partiti e le correnti interne. O quasi, perché il Professore se la deve vedere con la prima polemica interna alla sua maggioranza che rischia non appena si impatte nella sua prima forca caudina: il voto di fiducia al Senato che si pronuncerà stamattina. E scoppia una guerra interna all'Italia dei Valori. I senatori del movimento contestano come il leader, Antonio Di Pietro, ha condotto le trattative strappando solo un ministero (stando alle percentuali ne dovrebbe avere due), peraltro ridotto. E hanno deciso di procedere a trattative personali, esautorando il capo. E così i senatori di Idv, capitanati da Sergio De Gregorio, spiegano che non hanno intenzione di concedere la fiducia al governo. «Se non vi sarà il ministro per gli Italiani nel mondo potremmo arrivare all'estremo sacrificio ricorrendo al non voto», spiega De Gregorio in aula. «Non è questione di nomi, ma di un principio che va tutelato». Un vice ministro, secondo l'esponente di Idv, «non basta». De Gregorio (con un passato in Forza Italia) parla a nome di tutti i cinque senatori del movimento di Di Pietro, il cui voto sulla fiducia è determinante oggi per l'esecutivo appena nato, che deve scontare una sostanziale parità a palazzo Madama tra i senatori della Cdl (157) e quelli dell'Unione (157, perché il presidente Franco Marini non vota) a cui però vanno aggiunti quelli dei senatori a vita. Insomma, al Senato è già brivido anche se Prodi, a chi gli fa notare la situazione, allarga le braccia e rispode: «Non preoccupatevi». Forse per questo il suo discorso non ha sussulti, tranne uno. Succede quando il presidente del Consiglio tocca il tema della guerra in Iraq defininendola un «grave errore» che «noi non condividiamo» perché il terrorismo si combatte «senza fare crociate» e annuncia il rientro dei militari italiani «nei tempi tecnici necessari» che saranno comunque concordati. Brusio dai banchi della Cdl e poi proteste e poi urla. Tende una mano all'opposizione: «Coinvolgeremo anche chi non ci ha dato il voto nella realizzazione del programma. Noi ricercheremo la concordia». E ancora: «Non c'è una volontà di rivincita», «dobbiamo andare avanti tutti insieme» perché «non ci sono nemici né dentro né fuori da quest'aula». Non basta. Gli unici applausi bipartisan il professore li raccaoglie quando ringrazia Carlo Azeglio Ciampi e augura buona lavoro a Giorgio Napolitano. Per il resto, nulla. Anzi, oltre all'ostilità sulla politica estera raccoglie anche qualche fischio, sui quali deve intervenire il presidente del Senato Marini, in materia di economia. «Il nostro paese ha bisogno di una forte scossa, così come il nostro sistema produttivo», dice. «Non vi è più spazio per correzioni affidate a manovre straordinarie, non vi sono possibili miracoli di ingegneria finanziaria». E sul lavoro, Prodi conferma che la legge Biagi sarà rivista «per armonizzare flessibilità e stabilità, riducendo fortemente l'area dell'inaccettabile precarietà».

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