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Angeletti bracca il Prof «La Biagi non va abrogata»

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Addirittura, Luigi Angeletti, la pone in primo piano rispetto alla stessa unità sindacale. Il che vuol dire, per il segretario nazionale della Uil, che «non abbiamo alcuna intenzione di abrogarla». Sull'agenda di Prodi, invece, mette al primo punto il «rilancio» dell'economia del Paese. Tutti gli altri problemi, in sostanza per Angeletti, «sono una conseguenza». Poi definisce «funzionale» a un'economia mondiale, questa flebile ripresa che registra il Paese. E aggiunge: «Non ci illudiamo perché al primo aumento dei tassi di interesse o del prezzo del petrolio e delle materie prime - come sta avvenendo - ci sarà un rallentamento». Così avverte il governo: «Occorre una politica economica che riesca a rendere competitiva l'offerta, viceversa il nostro Pil decrescerà». Segretario Angeletti, proprio sulla «Biagi», ancora tra i confederali parlate lingue diverse. «Nel sindacato ci sono opinioni diverse su molti punti importanti come quello delle tasse, del mercato del lavoro e del sistema di contrattazione. In ogni caso, l'unità sindacale è molto importante, ma la cosa più importante è la qualità della politica sindacale. In altri termini, non abbiamo alcuna intenzione di abrogare la legge Biagi, mantenere un sistema contrattuale che ci penalizza, o ancora non chiedere una riduzione delle tasse. Certo, le nostre opinioni possono essere oggetto di discussioni, ma è altrettanto certo che non abbiamo intenzione di abrogarle». Il sindacato può spaccarsi sulla legge Biagi? «L'unità sindacale si trova se conveniamo sulle cosa da fare, non è condizione prioritaria, ma una conseguenza del convergere o meno. E questo vale per tutto, anche nei confronti del governo che deve mettersi in testa di avere a confronto sindacati con opinioni diversi. Il che vuol dire che il governo dovrà cercare delle convergenze sul merito, mentre se aspetta che i sindacati si mettano d'accordo per poi trattare, il governo farà la fine della Confindustria con la quale non abbiamo confronto da due anni. Mi lasci una battuta: questo la Confindustria può permetterselo, il governo no». Cuneo fiscale. Tutto il fronte sindacale parla di ridurlo. Ma sul come, la Uil sembra essere voce solista. «Non è la prima volta che cominciamo una battaglia da soli per poi finirla in compagnia. Sul come ridurre il cuneo fiscale è questione tecnica: non si può diminuere l'Irpef, quindi la cosa fattibile è stabilire di non pagare le tasse sugli aumenti contrattuali per 3-4 anni. Ciò consente un duplice effetto: aumentare in termini reali i salari e ridurre il costo complessivo per le imprese. Una soluzione diluita negli anni e che archivia anche il problema di trovare subito i famosi 10 miliardi di euro». Da decenni ogni nuovo esecutivo punta sul Mezzogiorno, ma poi... «Abbiamo sempre cercato delle scorciatoie. Questa è la vera causa. E le varie leadership politiche hanno, alla fin fine, cercato una strada che non porta da nessuna parte, come la storia ci insegna». Per meglio capire? «Cosa rende più complicato investire in Sicilia piuttosto che in Lombardia? L'efficienza della pubblica amministrazione; il controllo del territorio da parte dello Stato; i trasporti; i sistemi energetici; e così via. Ebbene, tutto ciò non è altro che un costo per la politica. E così, invece di risolvere questi problemi, che ovviamente richiedono importantissime risorse e anni di lavoro, la politica ha sempre elargito al Sud soltanto soldi, alcune volte in forma di regalo, altre di prestito. Come dire: non siamo determinati per creare le condizioni dello sviluppo? Compensiamo allora questa carenza, dando risorse. E fino a quando continueremo a pensare così, non ci potrà essere alcun sviluppo».

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