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«Dialoghiamo». Ma non è mai partita la prima parola

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Fino a ieri la sinistra parlava di confronto. Dopo la risicata vittoria elettorale pone invece l'aut aut

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Ma sui temi più delicati si può trovare un'intesa, una collaborazione tra maggioranza e opposizione. Primo fra tutti il Quirinale. E poi le presidenze delle Camere, le riforme istituzionali, la legge elettorale, la giustizia, la Rai… Perché come dice Prodi: «Non si può continuare così con un Paese spaccato. Noi useremo il metodo del dialogo». Chissà che effetto fa a quel 50,2 per cento di elettori del centrodestra riascoltare queste parole. E chissà cosa penseranno dopo che il centrosinistra ha fatto «cappotto» nella partita istituzionale: Fausto Bertinotti presidente della Camera, Franco Marini al Senato e Giorgio Napolitano al Quirinale. Di sicuro non rimpiangeranno di aver votato per la Casa delle Libertà ma si chiederanno che fine hanno fatto tutte quelle belle dichiarazione di concordia e di armonia nazionale? Proprio così, perché per tutta la campagna elettorale non è trascorso giorno senza che i leader ed i peones dell'Unione ripetessero che avrebbero governato attraverso il costante dialogo. Confrontandosi con l'opposizione. Ed evitando la politica del muro contro muro. Una strategia per tranquillizzare l'elettorato moderato, già troppo impaurito e disorientato dai vari Caruso e Luxuria. Ma i toni rassicuranti sono continuati anche dopo, almeno fino a quando l'Unione non ha avuto dai dati la certezza che, anche se per poco, aveva la maggioranza. Da allora si è passati dal dialogo al prendere o lasciare. E dire che proprio alla vigilia delle elezioni Prodi si era speso tanto per rassicurare tutti dicendo che «il dialogo e la competenza erano qualità di un leader». Aveva addirittura ricordato la sua formazione cattolica che gli aveva permesso di acquisire queste qualità. Un binomio tra cattolicesimo e dialogo che confermava anche Franco Marini, senatore della Margherita e poi presidente del Senato. Un dialogo a sfondo mistico perché senza confronto serio per l'elezione della prima carica dello Stato «neanche l'aiuto di Nostro Signore può consentire al Governo di fare le cose necessarie e urgenti». Senza scomodare l'Altissimo anche Rutelli si era detto convinto che per il Quirinale si dovesse adottare «il metodo Ciampi: la maggioranza indica una personalità che possa raccogliere anche i consensi delle opposizioni». Peccato che nel momento decisivo i leader dell'Unione non si siamo accorti che Giorgio Napolitano non aveva il sostegno dell'opposizione. Andando più indietro nel tempo c'era chi aveva proposto di dare una camera alla Cdl. Enzo Bianco, ex ministro dell'Interno, tentava così di «recuperare il dialogo istituzionale». Un'idea che trovò addirittura la disponibilità di Fassino che la considerò come «l'occasione del dialogo e del confronto tra chi governa e chi sta all'opposizione». Un'ottima idea se non fosse per il fatto che al Senato l'Unione ha imposto Marini con una maggioranza di soli tre voti. E tanti saluti al dialogo. Ma c'è anche chi con il tempo ha elaborato nuovi metodi di confronto con l'opposizione. Peppino Caldarola deputato della Quercia solo tre giorni dopo le elezioni salutava l'ipotesi del dialogo come «unica strada». «Oltre il fair play, momenti di convergenza non solo sul Quirinale ma anche sugli assetti istituzionali». Una riedizione del metodo Ciampi? Un doveroso rispetto della concertazione politica? Prima, forse. Ma dopo spazio a nuove formule. E così si inaugura quella del «vaffa… se la Cdl dice di no a Napolitano». Se queste sono le premesse figuriamoci il resto. Dar. Cas.

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