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La destra tentata dall'odiato Massimo: lo voteremmo ma...

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Ma a leggere tra le righe, ad ascoltare i discorsi fatti sottovoce in Transatlantico e nelle stradine che circondano i palazzi del potere emerge appena visibile, classica punta dell'iceberg, il voto «trasversale» per D'Alema presidente. Al Botteghino ne sono convinti: «In An o nell'Udc ci sono alti dirigenti ai quali non dispiacerebbe votare Massimo», dicevano l'altro giorno. Si parte dalla stima personale, dal suo impegno nella Bicamerale, dai suoi (ex) «buoni rapporti» con il Cavaliere. «Che al nostro interno ci siano delle preferenze per D'Alema è una sciocchezza, non è così. La stima nei suoi confronti è un'altra cosa...», sbotta il capogruppo di An al Senato Altero Matteoli, che però «non ritiene illegittima» la candidatura del presidente Ds al Quirinale. E qualcuno nel partito di Matteoli, pur chiedendo l'anonimato, suggerisce un'ipotesi suggestiva: «Se D'Alema diventa capo dello Stato cadrebbe un tabù, la convenzione ad escludere. Quindi lo stesso discorso varrebbe in futuro per Fini premier». Poi c'è chi, senza nascondersi, ammette questa possibilità subordinandola a un diverso clima tra maggioranza e opposizione. Un nuovo equilibrio che consenta all'Unione di governare malgrado la maggioranza risicata a Palazzo Madama e alla CdL di non vedere annullate tutte le riforme condotte in porto in cinque anni. «A livello personale ritengo che sia meglio D'Alema di qualsiasi altra formula si potrebbe inventare - spiega Alfredo Mantica, sottosegretario uscente agli Esteri e vice di Mattioli - È un'ipotesi che non mi spaventa e non mi scandalizza. Si tratta di un uomo per il quale nutro simpatia personale e stima, che fa politica da sempre e che viene dalla politica. Prima, però, è necessario trovare un nuovo equilibrio e un modo diverso d'intendere il rapporto fra maggioranza e opposizione. Se accadesse questo, D'Alema potrebbe anche essere una soluzione. O, almeno, se ne può discutere. Ma dobbiamo passare dal concetto di nemici a quello di avversari politici. In tal senso, la riapertura del dialogo fra Prodi e Berlusconi è il primo fatto positivo». Meno possibilista ed egualmente «propedeutica» la neoeletta Angiola Filipponio Tatarella, vedova di uno dei fondatori di An, che non nega il rapporto d'amicizia fra D'Alema e la sua famiglia («L'anticipatore di una destra normale», il titolo di un articolo scritto nel '99 dal presidente Ds sullo scomparso Pinuccio Tatarella) ma pone una questione di metodo: «Il problema non è la persona ma l'occupazione di tre cariche istituzionali su tre da parte della sinistra a fronte di un risultato elettorale che è vicino al 50 per cento. Non possono prendersi tutto. E noi non possiamo permetterglielo senza tradire il mandato dei nostri elettori. Altrimenti, personalmente, e se non ci fossero già uomini del centrosinistra alle presidenze di Camera e Senato, io sa che le direi? Le direi perché no!?».

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