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Il presidente della Quercia «sogna» il Quirinale

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A chiarire il destino del presidente dei Ds non sono servite due riunioni-fiume avvenute ieri, prima e dopo l'elezione di Fausto Bertinotti e Franco Marini agli scranni più alti di Montecitorio e Palazzo Madama. In mattinata, D'Alema si è intrattenuto col segretario della Quercia Fassino e Giuliano Amato, candidato alla Presidenza della Repubblica. In serata, invece, D'Alema e Fassino hanno avuto un colloquio di circa un'ora presso la sede della Fondazione Italianieuropei. Summit, tuttavia, inutili per capire il futuro di D'Alema. La strada che porta al Quirinale certo è ardua e tutta in salita. Amato da mesi è in lizza per divenire Presidente della Repubblica e godrebbe di un ampio consenso bipartisan. Per D'Alema il discorso è, invece, più complicato. L'Unione non vorrebbe eleggere il Capo dello Stato a colpi di maggioranza, ma preferirebbe seguire il «metodo Ciampi», ossia trovare una personalità che rappresenti entrambi i poli e che incontri un largo consenso anche in seno all'opposizione di centrodestra. Berlusconi, dal canto suo, ha ieri ribadito di non gradire un esponente di sinistra, lanciando la candidatura della triade Casini-Letta-Pera. D'Alema è certamente un uomo di sinistra, nonostante abbia dimostrato, ai tempi della «Bicamerale» di saper essere politico aperto al dialogo. Tuttavia, le condizioni per vedere D'Alema salire sul Colle sono almeno due. La prima: il placet di Prodi e dell'intera coalizione di centrosinistra. La seconda: l'accantonamento del «metodo Ciampi», che vorrebbe dire dire addio a una scelta condivisa con la CdL. Sotto quest'ultimo profilo, Amato e Giorgio Napolitano, rimangono nettamente favoriti rispetto a D'Alema, il quale tuttavia non molla. Il ministero degli Esteri non gli piace granché. Sedere alla Farnesina vorrebbe dire dipendere da Prodi e lasciare a Fassino, candidato a un vicepremierato con delega «leggera», la guida della Quercia. Con tutto ciò che ne conseguirebbe. Il Professore, dal canto suo, non vedrebbe di buon occhio «Baffino» come Presidente della Repubblica. Non solo perché sarebbe fortemente inviso all'opposizione. Ma anche perché Prodi potrebbe non aver dimenticato lo «sgarbo» del 1998, quando proprio D'Alema gli sfilò la poltrona di presidente del Consiglio. Nodo-D'Alema a parte, Romano Prodi si accinge a ricevere l'incarico di formare il governo. Fonti vicine al leader dell'Unione riferiscono che il Professore potrebbe ottenere l'incarico da Ciampi - e non dal nuovo Capo dello Stato - tra venerdì e sabato. E Prodi sembra essere arrivato alla quadratura del cerchio per quanto riguarda la squadra di governo. Fassino e Rutelli sarebbero i due vicepremier con delega, rispettivamente, a made in Italy e turismo. In questo modo potrebbero occuparsi del costituendo partito democratico. Otto dicasteri finirebbero ai Ds, cinque alla Margherita, uno ciascuno a Udeur, Rifondazione, Pdci e Rosa nel pugno. Nei piani di Prodi, D'Alema andrebbe alla Farnesina, Anna Finocchiaro alla Giustizia (dicastero a cui ambisce anche Gavino Angius), Pierluigi Bersani alle Attività produttive, Vannino Chiti ai Rapporti col Parlamento, Luciano Violante alle Riforme, Fabio Mussi all'Ambiente. Per quanto riguarda la Margherita, per Paolo Gentiloni - già presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai - ci sarebbe il ministero delle Comunicazioni, Linda Lanzillotta andrebbe alle Nuove Tecnologie o alla Funzione Pubblica. Franco Danieli si occuperebbe degli Italiani all'estero. I prodiani doc Arturo Parisi e Giulio Santagata avrebbero garantiti, rispettivamente, il ministero degli Interni e quello per l'Attuazione del programma di governo. Mastella sembra averla spuntata sulla Difesa. Pecoraro Scanio viene invece ormai dato per certo per le Politiche Agricole (ma sogna Ambiente o Lavori Pubblici). Antonio Di Pietro alle Infrastrutture. Emma Bonino alle Politiche Comunitarie. Rifondazione mett

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