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RESPONSABILE ESTERI PRC

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Però questo è il momento del dolore e non delle accelerazioni». Così la pensa Gennaro Migliore, responsabile per Rifondazione della politica internazionale, appena eletto deputato e prossimo capogruppo del suo partito a Montecitorio. Quindi niente linea Zapatero per Prodi? Il Professore non farà come il premier spagnolo che eletto subito dopo il terribile attentato di Madrid decise l'immediato ritiro dei militari spagnoli dall'Iraq? «Le decisioni sulla nostra linea in Iraq sono state prese da tempo, affrettare ora le cose sarebbe una contraddizione. Ritengo semplicemente sbagliato parlare di ritiro in questo momento, con la morte dei militari italiani così vicina». La linea del centrosinistra rimane comunque quella del ritiro, nonostante l'attacco mortale? «Certo, il ritiro è un passo indispensabile, bisogna restituire la sovranità diretta agli iracheni. Tutti i partiti dell'Unione hanno condannato da subito la guerra in Iraq e anche l'occupazione. Il ruolo degli italiani in Iraq è sbagliato fin dall'inizio, la nostra non è mai stata una missione di pace ma di una vera e propria occupazione militare. Quello che è successo è la prova che purtroppo in Iraq è in corso una guerra civile e che le elezioni non sono state un reale passo avanti verso la pacificazione». Ma il ritiro non è un resa al terrorismo? «Respingo con fermezza questa equazione. Abbiamo sempre condannato con fermezza ogni forma di terrorismo, anche quello iracheno. Dire che ritirando il contingente militare in Iraq si fa il gioco dei terroristi è un assurdo, è un ricatto morale dietro cui si nascondono quelli che invece hanno in vari modi favorito la guerra». Ma andandosene non si rischia di lasciare il problema Iraq agli iracheni? «Siamo convinti che l'unica strada per la pace sia quella del ritiro di tutti i contingenti militari. L'unico strumento, una forza di interposizione internazionale. I responsabili del disastro iracheno sono gli americani. È impensabile pensare che la pace possa essere portata da chi ha voluto la guerra». Insomma con il ritiro non vince la linea di chi brucia le bandiere nei corte o che grida slogan tremendi? «Questa è proprio un'assurdità. Io considero bruciare la bandiera di Israele un atto immorale, chi lo fa per me è un nemico giurato della pace». Ma il nuovo governo riuscirà ad avere una politica estera comune nonostante la sua maggioranza tanto composita? «Sono convinto che gli elettori dando la maggioranza al centrosinistra chiedessero proprio un cambio sostanziale in politica estera. Il nostro mandato ora è lavorare per arginare l'unilateralismo americano e ridare forza all'Onu e a tutte le sedi che favoriscano il multilateralismo e i percorsi condivisi verso la pacificazione dei conflitti». Ma l'Italia non rischia con questa linea di diventare sempre più marginale nelle grandi questioni di politica internazionale? «Non credo proprio. L'Italia deve offrirsi con sede di mediazione internazionale e di incontri come è stata nel passato». Pensa alla politica filoaraba dei governi Craxi e Andreotti? «Assolutamente no. Ci consideriamo equidistanti, anche sulla questione di Israele e Palestina, siamo per il riconoscimento reciproco dei due stati. Più che altro ho in mente la politica filo-pace di Bill Clinton». Ma ora c'è Bush alla Casa Bianca... «Certo il presidente americano per ora rappresenta un ostacolo alla pace, però l'Europa può svolgere un ruolo di pressione sugli Stati Uniti».

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