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di FABRIZIO DELL'OREFICE IL PIANO di guerra ha un numero preciso: 162.

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L'agguato del Cavaliere scatterà già dalle prime sedute. Già venerdì prossimo, quando si aprirà la nuova legislatura, o comunque subito dopo. Al primo voto utile. «Non riusciranno ad eleggere neanche il presidente del Senato», ha spiegato Berlusconi ai suoi che ha ricevuto a Palazzo Grazioli. E in quella frase è raccolta tutta la tattica del leader della Cdl che è stata approvata anche dai due principali alleati Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini (quest'ultimo un po' perplesso ha dovuto comunque accettare). «Vedrete, Franco Marini non sarà presidente, se mai sarà candidato. Vi posso assicurare che già oggi non può contare su tutti i voti della sua maggioranza», ha spiegato il Cavaliere agli alleati. Lasciando intendere che contatti sono stati aperti con l'Udeur (e non a caso Mastella ha detto chiaro e tondo che lui potrebbe prendere più voti di Marini). Ma non solo. I senatori eletti all'estero. Ma non solo. Dissidenti margheriti e diessini. E il candidato alla guida di Palazzo Madama, il vero ras della Margherita, ha davvero bisogno di tutti - ma proprio tutti - i voti per salire sullo scranno più alto del Senato. Infatti, nei primi due scrutini è necessaria la maggiorana assoluta. Ovvero 162 voti, ecco il fatidico numero. E oggi il candidato può contare sui 154 senatori dell'Unione eletti in Italia, i quattro all'estero e altri quattro sicuri a vita. In pratica Marini ce la potrebbe fare solo se - nel segreto dell'urna - non avrà nemmeno un franco tiratore, una defezione, un mal di pancia. Ma già deve fare i conti con la Levi Montalcini che non ci sarà. Il motorino della Margherita lo sa ed è per questo che stende la mano alla Cdl. «È terrorizzato, ha capito che non ce la fa», sottolinea un consigliere del leader della Cdl. Potrebbe presentarsi al terzo scrutinio, nel qual caso è i voti necessari sono 158. Comunque, in mezzo, i berlusconiani stanno lavorando a quella che doveva essere una sorpresa: candidare Giulio Andreotti. Il sette volte presidente non ha sciolto la riserva, ma accarezza l'idea: Palazzo Madama (oltre al Quirinale) è l'ultimo palazzo romano che gli manca. Inoltre per lui sarebbe una rivincita non da poco. E alla prova dei fatto Andreotti potrebbe incassare consensi di tutta la Cdl e in più anche di qualche settore del centrosinistra, come gli ex Popolari. E metterebbe in difficoltà anche i senatori a vita che sono schierati con il centrosinistra. «Se si votasse oggi, Andreotti vincerebbe di dieci voti», giura un uomo molto vicino a Fini. Se salta Marini, Berlusconi ha già pronta la carta successiva. Alzerà il telefono, chiamerà il Quirinale e chiederà un incontro: «Sarà chiaro che non c'è una maggioranza. Voglio vedere come farà Ciampi a dare il mandato a Prodi». Il capo del centrodestra ha già pronta pure la carta di riserva: «Potremmo chiedere di tornare alle urne anche soltanto per il Senato». Ma se il piano del Cavaliere dovesse fallire e Marini ottenere soccorsi dal centrodestra (ieri Follini ha eslcuso un suo personale aiuto) e diventare così il successore di Marcello Pera, il leader della Cdl non si scoraggerebbe: «Marini? Non ci sente bene, lo voglio vedere a tenere un'assemblea in cui anche un sussurro è determinante». La strategia dunque è rendere il Senato un campo di battaglia. Dimostrarlo immediatamente che è ingovernabile. Dopo la rinuncia di D'Alema alla guida della presidenza della Camera, anche al Senato ci potrebbe essere una rinuncia. E sempre per salvare Prodi. Ma per Berlusconi non cambierebbe nulla. Il Motore azzurro, aperto per la campagna elettorale, non è stato ancora chiuso. Anzi.

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