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Cossiga: «Se nessuno vince l'Udc appoggerà Prodi»

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A delineare i possibili scenari politici è il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, il quale, tuttavia, non crede a un pareggio tra centrodestra e centrosinistra. Presidente Cossiga, come dirimere l'ingorgo istituzionale in caso di pareggio alle elezioni? «Non ci sarà pareggio. L'esito del voto è scontato: vincerà il centrosinistra. Il problema è la legge elettorale. Nel '96 Berlusconi ottenne più voti, ma, con maggioritario e collegi uninominali, vinse Prodi. Oggi è diverso. Alla Camera il premio di maggioranza è assegnato su base nazionale. Diverso è al Senato, dove il premio è su base regionale. L'Unione può prendere quanti voti vuole in Emilia, Toscana e Umbria, ma cambierà poco. La differenza la faranno Lazio, Piemonte, Puglia. Forse Campania. Bisognerà vedere che maggioranza otterrà la coalizione di Prodi a Palazzo Madama. In ogni caso, Churchill governò con una maggioranza di due parlamentari ai Comuni e disse che gliene sarebbe bastato uno solo». Reputa auspicabile un ritorno alle urne? «No. Il Professore perderebbe voti». E allora? «Il grande senso dello Stato che ha sempre contraddistinto la Dc porterà l'Udc ad appoggiare Prodi. Il bene del Paese viene prima dei vincoli di coalizione. E i parlamentari agiscono senza vincolo di mandato». Cosa avrà l'Udc in cambio? «Nulla. Non ci saranno trattative. Magari confiderà nel buon senso e nella gratitudine futura dei moderati di centrosinistra». Un bel ribaltone, insomma. «L'ho inventato io il ribaltone per il bene e la governabilità del Paese. Ma non chiamiamolo così. L'instabilità è un bel pasticcio. Tuttavia, non nego che una mossa del genere farebbe storcere il naso al centrodestra, farebbe parlare di tradimento. Verrebbe meno il progetto di creare un grande partito popolare italiano sulla scorta del Ppe». Quanto ci vorrà per la formazione del nuovo governo? «Troppo. Ciampi dovrà aspettare la formazione dei gruppi parlamentari e l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, che saranno D'Alema e Marini. Poi inizieranno le consultazioni per assegnare l'incarico di formare il governo. Berlusconi rischia di rimanere al governo per altri 2 mesi dopo le elezioni. E in caso di crisi internazionale cosa accadrebbe? Io propongo una soluzione alternativa». Cioè? «Niente "grosse koalition" come in Germania. Ciampi potrebbe nominare, per 2 o 3 mesi, un governo tecnico di transizione. Oppure Berlusconi dovrebbe dimettersi subito e il Capo dello Stato dare l'incarico a Prodi il giorno dopo le elezioni, come avviene in Gran Bretagna. Le consultazioni con i presidenti dei gruppi parlamentari sono una prassi non codificata nella Costituzione e sono inutili se un candidato premier ha già dietro di sé una maggioranza pronta a votare la fiducia». Da presidente lo farebbe? «Lo farei da professore di diritto costituzionale. Da presidente della Repubblica non so». Come finirà la corsa al Quirinale? «Mi auguro che Ciampi venga confermato». In caso contrario? «Dovesse vincere Berlusconi, vorrà salire lui al Quirinale, risolvendo la successione alla leadership della Cdl e togliendo d'impaccio Fini e Casini. Ma non credo accadrà. Berlusconi, sconfitto, punterà su Amato, che verrà ostacolato dalla forte ala antisocialista e anticraxiana della sinistra. Se Amato fosse eletto, lo sarebbe col voto maggioritario della destra. E la maggioranza di centrosinistra non lo permetterà. Più facile, allora, che si punti su uno dei presidenti delle camere, D'Alema o Marini».

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