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Anche Fini e D'Alema bocciano il pareggio

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Il vicepremier e il presidente Ds d'accordo con Prodi: «Se nessuno vince si torna subito a votare»

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Da alcune settimane è diventato il vero tema di questo ultimo scorcio di campagna elettorale. La possibilità che le prossime elezioni politiche si concludano con un sostanziale pareggio, se da un lato rilancia la Cdl che comincia a credere in una vittoria insperata; dall'altro spaventa, e non poco, l'Unione che ha visto il proprio vantaggio disperdersi giorno dopo giorno. Così, quando domenica Romano Prodi, intervistato da Lucia Annunziata, ha ammesso che «se le prossime politiche si risolvessero in un pareggio si deve andare a rivotare», la discussione si è subito infiammata. Tutti, ovviamente, continuano a dire che, alla fine, vinceranno loro, ma è chiaro che l'ipotesi pareggio è ormai diventata una variabile importante. Al punto che è nato un vero e proprio partito del «no» al pareggio. Un partito a cui, ieri, si sono iscritti anche il presidente della Quercia Massimo D'Alema e il leader di An Gianfranco Fini. «Non è come il calcio che se si pareggia si prende un voto per uno - ha detto D'Alema da Napoli -. Abbiamo bisogno di un risultato netto che travolga le insidie della legge elettorale. Un pareggio non sarebbe auspicabile perché non possiamo consentirci un Paese ingovernabile. Sarebbe un danno per le persone, il giorno dopo sarebbe angoscioso per tutti». D'Alema ha dunque aggiunto: «Quando si decide per un governo di un grande paese, bisogna decidere chi governa. Per questo bisogna vincere le resistenze e bisogna che si coaguli una maggioranza larga». Parole che sembrano implicitamente ammettere che il rischio del pareggio c'è e, in fondo, non è poi così remoto. Forse per questo D'Alema si è subito affrettato a chiarire: «Non è indubbio chi vince, vinciamo noi, il problema è che abbiamo bisogno della maggioranza netta che travolge le insidie di una legge elettorale irresponsabilmente studiata per rendere ingovernabile il Paese». In sintesi, per il presidente Ds, il problema non è tanto il pareggio quanto la possibilità che l'Unione possa vincere con uno scarto molto ridotto. Scarto che renderebbe indispensabile ogni singolo partito della coalizione producendo una situazione di sostanziale ingovernabilità. Ergo, o l'Unione avrà una maggioranza netta che le consenta di fronteggiare i ricatti di tutti i cespugli della coalizione, o è meglio tornare a votare. Ma l'ipotesi del pareggio, anche se per ragioni opposte, non piace neanche alla Cdl e soprattutto a coloro che non hanno nessuna intenzione di replicare in Italia l'esperienza della Grosse Koalition tedesca con il centrodestra che, per in nome dell'interesse nazionale, offre il proprio appoggio ad un governo di centrosinistra. Così, anche Gianfranco Fini, ieri a Milano, si è schierato contro l'ipotesi pareggio, anche se ha approfittato dell'occasione per attaccare Prodi e la sua coalizione. «Condivido pienamente l'affermazione di Romano Prodi - ha detto ieri il vicepremier - quando dice che se finisce in pareggio si torna a votare. È poi significativo che questa frase venga da Prodi che pensava già di avere vinto e faceva organigrammi. Adesso invece ha capito che può perdere». Analisi condivisa anche dal Presidente del Senato Marcello Pera. «A me pare - ha detto Pera da Grosseto - che il professor Prodi cerchi già la rivincita prima di aver perso. Io credo che Prodi si sia accorto non soltanto di aver commesso degli errori nella comunicazione, ma si è accorto anche che gli italiani si sono accorti che cosa cìè scritto nel programma della sua coalizione».

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