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Bersani il dalemiano che studia da erede di Fassino

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Da quel momento in poi, la campagna elettorale di Pierluigi Bersani, testa di lista dell'Ulivo in Veneto e in Piemonte dietro il Professore, è stata, come si suol dire, orientata esclusivamente a iniziative sul territorio, senza dichiarazioni rilevanti sugli argomenti di grande attualità politica che pure, soprattutto per l'affare Enel-Gdf, non sono mancati. Una parabola curiosa, visto l'usuale presenzialismo dell'ex-ministro dell'Industria, culminato per esempio in una clamorosa ovazione «in trasferta» nel corso di un'iniziativa leghista, e alla quasi-investitura come erede di Fassino, all'ultima conferenza programmatica dei Ds. Dopo quell''ppuntamento, l'imprevista ridda di voci su una possibile esclusione dalle liste per la Camera, seguita dal silenzio di cui si parlava. Un silenzio che i rumors del Palazzo giustificano con l'esigenza, tutta proiettata al dopo-elezioni, di non assumere posizioni palesemente identificabili con quelle dell'ex-premier, del quale è nota l'intenzione di voler piazzare Bersani al Botteghino, in caso di vittoria del centrosinistra e di un conseguente oltre che altamente probabile impegno ministeriale per Piero Fassino. Ma quali sono gli argomenti sensibili sui quali D'Alema avrebbe raccomandato prudenza a Bersani? Uno su tutti: l'atteggiamento sulla vicenda Unipol e, in generale, sul collateralismo con il mondo cooperativo. A maggior ragione, a fronte di un insistente chiacchiericcio sull'ipotesi di nuove rivelazioni e delle conseguenti strumentalizzazioni, Bersani si starebbe attenendo al patto unitario maturato nell'ultima Direzione, secondo cui la linea del «mea culpa» per l'ingenuità del tifo manifestato per l'Opa su Bnl, non dovrà in futuro subire correzioni di sorta.

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