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Rifondazione piace. A chi non la vota

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La paura è che agli apprezzamenti sulla nuova linea non corrisponda una crescita di consensi

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È una vecchia battuta che è cominciata a ricircolare negli ultimi tempi dentro Rifondazione comunista. Qualcuno inizia a temere che tutto questo plauso intorno a Bertinotti e alle sue posizioni, non si traduca poi il 9 aprile in una grande affermazione. In effetti, negli ultimi giorni il segretario di Rifondazione ha incassato dalle parti più moderate del centrosinistra tante dimostrazioni di stima e fiducia, proprio lì dove le distanze culturali e politiche dovevano essere più grandi. Ma tutto ciò comincia a preoccupare gli uomini del segretario. Certo nessuno rinnega la decisione di non candidare il leader della minoranza troskista, Marco Ferrando, dopo le dichiarazioni a dir poco ambigue sulle responsabilità della strage di Nassiriya. Così come la decisione di non partecipazione alla manifestazione in favore della Palestina (sostenuta dal Pcdi, dove non è mancato chi ha incendiato la bandiera israeliana e ha gridato l'impossibile slogan «Dieci, cento, mille Nassirya») è stata presa dal gruppo dirigente compatto. Lo stesso che ha deciso di non premere sull'acceleratore in materia di Pacs, diritti e laicità. Però a qualcuno viene il dubbio che tutto ciò elettoralmente non paghi. Certo non dispiace se Clemente Mastella, leader dell'Udeur, parla di «svolta epocale» di Bertinotti e dice apertamente che il segretario di Rifondazione può aspirare nella prossima legislatura «A qualsiasi ruolo, anche di Presidente della Camera». Così come viene accolta con simpatia la dichiarazione di Dario Franceschini, uno dei maggiori esponenti della Margherita, che si dice assolutamente convinto della lealtà di Rifondazione perché quelli del Prc «come partner di governo saranno assolutamente affidabili». Tuttavia c'è preoccupazione di fronte alla possibilità che l'elettorato di riferimento veda svilita la natura radicale, identitaria, del partito della Rifondazione Comunista. Per uno dei dirigenti di via del Policlinico, sede di Rifondazione: «Il pericolo è che Bertinotti finisca come Fini: entrambi quasi più amati fuori dai loro partiti che dentro. E infatti tutti e due sono preoccupati di non riuscire ad assicurare ai loro partiti quei consensi che raccolgono tra giornali e dichiarazioni di esterni». E poi Rifondazione ha la concorrenza spietata del Pcdi di Diliberto, che ultimamente si sta dando un gran da fare per occupare lo spazio del radicalismo e dell'estremismo all'interno del centrosinistra. Anche attaccando apertamente Rifondazione, accusando il partito di aver tradito le posizioni più critiche sull'intervento in Iraq e di essere diventato troppo filoisraeliano. Marco Rizzo, il vice di Diliberto, ha la sua spiegazione: «Il Dna Comunista di Bertinotti si sta annacquando». Ma Franco Giordano, capogruppo alla Camera per Rifondazione, non ci sta e rassicura i suoi: «La nostra linea non è cambiata». Anzi, «abbiamo portato le istanze dei movimenti nel programma dell'Unione». Quel programma è più che soddisfacente anche per Bertinotti, perché lì dentro il leader di Rifondazione vi trova «un'impronta profondamente riformatrice». Al segretario di Rifondazione piace per lo stesso motivo per cui piace a Prodi: quel tomo giallo con gli impegni del centrosinistra per il «suo» governo è pieno di «riformismo radicale». Bertinotti si dice soddisfatto: quel programma «indica con chiarezza la strada verso il cambiamento». E giura che tutto il partito lo rispetterà. E la piazza? Non si sentirà abbandonata da Rifondazione e dal suo segretario? Diliberto e i suoi ci sperano e fanno di tutto per occuparla. Ma Giordano rilancia: «Noi non abbiamo affatto lasciato la piazza, noi siamo con i movimenti e tante presenze nelle nostre liste lo dimostrano. E comunque il 18 marzo faremo una grande manifestazione per la pace e il ritiro dall'Iraq. Siamo noi la sinistra vera». Il resto, è il gioco del proporzionale.

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